prof. Davide Betto

laurea in Architettura conseguita presso la Facoltà di Architettura di Reggio Calabria; dottorato di ricerca conseguito presso la Facoltà di Napoli in Metodi di Valutazione. Si è abilitato all'insegnamento nella classe di concorso "A033 - Educazione Tecnica nella scuola media" nel 2004 e dal 2007 è diventato docente di ruolo. Insegna a Catania presso la scuola secondaria di primo grado Dante Alighieri. Appassionato di informatica che, insegna nelle classi 2.0 e 3.0, webmaster per diletto e utilizzatore avanzato di programmi C.A.D., grafica e video produzione. Autore di questo blog e vincitore del premio internazionale come miglior sito dell'anno 2016 nell'area Carriera e Formazione. Autore per casa editrice Lattes Editori di Torino per la quale cura il blog iLTECHNOlogico.it e le pubblicazioni di tecnologia.

Nov 212011
 
Articolo scritto da un alunno della 3D/2012
Claudia Calanna, Francesco Trovato Manuncola

La fusione nucleare fredda, detta comunemente fusione fredda o fusione a freddo, oppure nella forma inglese di cold fusion (CF) è un nome attribuito a reazioni di natura nucleare, che si produrrebbero a pressioni e a temperature molto minori di quelle necessarie per ottenere la fusione nucleare “calda”, per la quale sono invece necessarie temperature dell’ordine del milione di gradi.

Il termine fusione fredda (“cold fusion”) fu coniato nel 1986 da Paul Palmer, della Brigham Young University, durante una ricerca di geo-fusione sulla possibilità di esistenza di fenomeni di fusione all’interno dei nuclei planetari.

La fusione nucleare a freddo, deriva da quella “calda” che, consiste nel fondere 2 atomi leggeri (due isotopi dell’idrogeno: deuterio e trizio) per formarne uno più pesante elio.

Processo di Fusione a Caldo

Il processo è analogo a quello che avviene nel Sole e nelle stelle e può teoricamente essere riprodotto artificialmente anche sulla Terra. Per far sì che la fusione avvenga, però, sono necessarie temperature elevatissime (milioni di gradi) che ancora oggi è quasi impossibile raggiungere. Dalla fusione nucleare si ottiene un’enorme quantità di energia: infatti, una volta che i due atomi si fondono, la loro massa non è pari alla somma delle masse dei due nuclei, ma minore. La differenza tra la somma delle masse di partenza e la massa finale si è convertita in energia secondo la legge di Einstein (E=mC2) dove E rappresenta l’energia, m la massa e Cuna costante, la velocità della luce pari a circa 300.000 km/s.

La possibilità teorica che queste reazioni possano avvenire a freddo è controversa. Secondo i sostenitori delle teorie che permetterebbero tale fenomeno, è necessario avvicinare i nuclei atomici di deuterio e trizio a distanze tali da vincere la reciproca forza di repulsione dei nuclei. Tuttavia, diversamente dalle reazioni di fusione termonucleare “calda”, essi affermano che si può raggiungere lo stesso risultato spendendo molta meno energia, grazie allo sfruttamento di un catalizzatore, come il palladio.

Video1

http://www.youtube.com/watch?v=e-oROrwpX2I&w=560&h=420&rel=0

L’ESPERIENZA ITALIANA

Anche in Italia gli studi in merito fervono e i risultati non mancano. Infatti, il 28 ottobre scorso Andrea Rossi ha mantenuto la prima delle sue promesse. In un container alla periferia di Bologna, l’ingegnere inventore della nuova fusione fredda italiana, ha presentato una mini centrale termica da un megawatt, apparentemente funzionante. È composta da 107 E-Cat (“Energy Catalyzer”), cioè catalizzatore di energia, il misterioso apparato che è il cuore della sua macchina e che consente di produrre, fino a 27 kW termici, attraverso una reazione di fusione nucleare (diversa dalla fissione delle tradizionali centrali nucleari) tra nichel e idrogeno, SENZA RADIAZIONI O SCORIE.

È davvero la soluzione dei tanti problemi energetici del pianeta, come qualcuno pensa?

Le prove non sono ancora sufficienti. Anche se la cosiddetta LENR, “Reazioni nucleari a debole energia”, e il fenomeno su cui è basata, ha ormai molti riscontri: in fenomeni come la cavitazione, il plasma elettrolitico o la sonoluminescenza.

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TOKAMACK (prof. BETTO)

Un tokamak è una macchina di forma toroidale che, attraverso il confinamento magnetico di isotopi di idrogeno allo stato di plasma, crea le condizioni affinché si verifichi, al suo interno, la fusione termonucleare allo scopo di estrarne l’energia prodotta. (Wikipedia).

Schema del Tokamack

L’idea è quella di realizzare un campo magnetico ad anello intorno a una forma geometrica a ciambella che impedisce alle particelle di uscire restando così confinate all’interno dello spazio magnetico. Il campo magnetico ad anello viene chiamato in linguaggio tecnico campo toroidale.

In un tokamak, come condizione iniziale viene creato un vuoto spinto o ultraspinto, mediante apposite pompe a vuoto. L’accensione della corrente di plasma nel contenitore toroidale avviene in tre tempi:

  1. si immette corrente nelle bobine di campo toroidale;
  2. viene immessa una piccolissima quantità di gas (generalmente una miscela di deuterio e trizio) di cui si vogliano studiare le proprietà.
  3. si immette corrente nel solenoide centrale, che occupa il buco centrale del toro, creando un flusso nel nucleo del Tokamak: esso costituisce il circuito primario di un trasformatore, di cui il toro costituisce il circuito secondario;

Gli atomi neutri vengono ionizzati, si crea una scarica con elettroni via via più numerosi per effetto degli urti fra elettroni e atomi neutri. Il gas non è più neutro, ma è diventato plasma: a questo punto la corrente elettrica, per effetto Joule, riscalda il plasma a temperature anche molto elevate (qualche milione di gradi).

La speranza è quella di poter estrarre energia da fusione nucleare, senza che questa rilasci scorie radioattive, né sia passibile di esplosioni o fughe di radiazione e in tal senso è un’energia completamente “pulita”.

Video1

http://www.youtube.com/watch?v=bA9r1UWwQlU&feature=related&w=560&h=420&rel=0
Nov 212011
 

Saipem 10000 è una nave di perforazione petrolifera, l’unica facente parte della flotta della Saipem, società del gruppo ENI, che opera nel mondo in aree on-shore e off-shore, talvolta anche particolarmente ostili, ed esegue, per conto delle più note aziende petrolifere, importanti campagne di perforazione in Europa, nei Paesi dell’ex Unione Sovietica, nell’Africa Settentrionale e Occidentale, in Medio ed Estremo Oriente e nelle Americhe.

SAIPEM 10000 è stata progettata per l’esplorazione e lo sviluppo di giacimenti di idrocarburi con pozzi in profondità fino a 10000m e per operare in posizionamento dinamico in acque profonde fino a 3000m.

La nave ha un dislocamento di 97000t, è lunga 228m, larga 42m e alta all’incirca 120m inclusa la torre di perforazione. E’ dotata di attrezzature di perforazione, di sistemi di sicurezza e di protezione ambientale molto avanzati. Una caratteristica importante risiede nella capacità di stoccaggio di greggio fino a 140000 barili. La nave, infatti, è in grado di tenersi in posizione senza l’ausilio di ancore con la massima stabilità operativa grazie a 6 propulsori orientabili Wartsila da 7.000 kW ciascuno gestiti da computer collegati ad un sistema GPS che, consentono di compensare in tempo reale gli effetti di vento, onda e corrente.
Il modulo alloggi può ospitare fino a 160 tecnici in un ambiente altamente confortevole e comprende cabine, uffici, spogliatoi, locali vari e di ricreazione, cambusa e mensa oltre ad un ospedale e ad una infermeria. La nave dispone di un eliporto che può accogliere i più grandi elicotteri di tipo commerciale.

La nave è stata costruita nei cantieri coreani Samsung e consegnata nel 2000. Batte attualmente bandiera delle Bahamas.

DATI TECNICI

Dimensioni

  • Lunghezza: 228 m.
  • Larghezza: 42 m.
  • Pescaggio: 19 m.
  • Dislocamento: 96.455 t.

Possibilità operative 

  • Fondale massimo: oltre 10.000 piedi;
  • Profondità massima di perforazione: oltre 30.000 piedi;

Torre di perforazione 

  • Dimensioni alla base: 80 x 60 piedi
  • Dimensioni alla sommità: 60 x 20 piedi
  • Altezza: 200 piedi
  • Portata del gancio: 2.000.000 libbre
  • Dotata di sistema automatico di aggancio e rimozione in grado di manovrare dalle aste di perforazione (drill pipes) del diametro di 31/2pollici fino ai tubi di rivestimento (casing) del diametro di 13 3/8pollici;
  • Tavola rotary con apertura massima di 601/2pollici, azionata da un motore idraulico, con massimo carico di 907 t.

Altra attrezzatura operativa 

  • 4 gru con portata di 85 t. con braccio a 18,4 m.
  • Argano principale con freno a rigenerazione e freno a singolo disco, azionato da 3 motori elettrici da 1.420 HP ciascuno
  • Piattaforma di atterraggio per elicotteri;
  • Strutture residenziali per un equipaggio di 172 unità (l’equipaggio in condizioni operative normali è di 160 unità).

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Alunno/i autore/i dell’articolo:
C. CASTORINA-E. MUSCATO-E. LAURITANO-E. CORSELLI-G. REALI-E. PUGLISI
Classe e Anno: Argomento di Riferimento:
Terza D – 2012/13 PETROLIO
Nov 152011
 

Una nuova tecnologia sviluppata presso la facoltà di ingegneria della Northwestern University, pare possa rivoluzionare il mondo degli smartphone come noi li conosciamo. Infatti, gli ingegneri hanno trovato il modo per rendere molto più efficienti le attuali batterie agli ioni di litio utilizzate per far funzionare i nostri attuali telefonini. Questi, hanno lavorato su uno degli elettrodi della batteria, l’anodo (elettrodo sul quale avviene una reazione di ossidazione), riuscendo a garantire una durata superiore di circa dieci volte rispetto alle attuali batterie e ad abbattere i tempi di ricarica della stessa quantità. Questo ha consentito loro di aumentare la longevità delle batterie fino a 5 volte. In pratica una ricarica basterà per una settimana di lavoro e in pochi minuti la batteria sarà ricaricata e nuovamente pronta all’uso.

Una batteria agli ioni di litio viene caricata dagli elettroni che si muovono all’interno dell’elettrolito verso l’anodo. Più ioni di litio è possibile stoccare in ogni anodo, maggiore sarà la densità energetica della batteria, ossia la sua durata. Ad esempio, oggi le attuali batterie utilizzano un anodo composto da grafene che permette di immagazzinare un atomo di litio per sei atomi di carbonio. Utilizzando silicio al posto del carbonio si è aumentata questa densità, stoccando 4 atomi di litio per ogni atomo di silicio. Purtroppo, però, durante questo processo di ricarica la struttura del silicio si frattura per cui si ha una perdita progressiva di carica.

Il capo di questo promettente progetto è il professor Harold H. Kung, e i suoi studi hanno dato risultati entusiasmanti. In pratica, si è operato creando fori di dimensioni comprese tra 10 e 20 manometri, nei fogli di grafene, per velocizzare il processo di carica fino a 10 volte. Ottimizzato questo elemento, si lavorerà sul catodo e sull’elettrolito in modo da evitare che questo possa esplodere in caso di surriscaldamento.

C’è ancora molto da fare, ma i risultati dicono che siamo sulla buona strada. Non ci resta che stare a guardare e aspettare i risultati di questo lavoro.

Nov 082011
 

Le Proiezioni Ortogonali sono una tecnica di rappresentazione che consente di visualizzare un oggetto anche tridimensionale sul piano bidimensionale (il foglio da disegno). Si tratta di proiettare secondo tre punti di vista lo stesso oggetto, ortogonalmente (perpendicolarmente) a tre diversi piani, ottenendo così tre diverse viste, una dall’alto chiamata pianta, una frontale chiamata prospetto e una laterale chiamata profilo.

E’ una tecnica di disegno abbastanza antica, nasce ad opera di Gaspard Monge, studioso francese che teorizzò questo sistema rappresentativo per finalità militari tanto che inizialmente era considerato segreto.

Le proiezioni ortogonali, consentono di avere una visualizzazione chiara e intuitiva dell’oggetto da rappresentare, ma anche la sua quotatura, tracciando sul disegno le sue misure principali ossia, lunghezza, larghezza e altezza.

Per eseguire una proiezione ortogonale abbiamo, quindi, bisogno di tre elementi: l’oggetto, i piani di riferimento e il punto di vista.

Eseguire una proiezione ortogonale di un oggetto, significa in pratica, guardarlo da tre differenti punti di vista e disegnare sul foglio ciò che vediamo. Nella esecuzione di una proiezione ortogonale, l’oggetto e i piani di riferimento non dovranno mai essere modificati, ciò che cambierà ogni volta è soltanto il punto di vista da cui osserviamo l’oggetto.

Se consideriamo un oggetto, nell’esempio una barca a vela, dobbiamo fissare tre punti di vista, cioè i punti da cui lo osserveremo. Questi saranno sempre gli stessi: dall’alto, di fronte e di lato.

Scelto l’oggetto e fissati i punti di vista da cui guardarlo, rimane da capire come posizionare i piani di riferimento. Immaginiamo allora che, i tre piani di riferimento siano i tre lati di una scatola (la base e due pareti). Posizioniamo l’oggetto al centro di questa scatola, come nella figura qui a lato.

Ricordiamo che abbiamo scelto tre viste, dall’alto, di fronte e di lato e che la proiezione dovrà sempre essere perpendicolare ai tre piani. Per comprendere meglio questo procedimento, immaginiamo di illuminare l’oggetto da tre direzioni che coincidono con i punti di vista. L’oggetto, proietterà allora tre diverse ombre ognuna su un piano di riferimento.


Vista dall’alto

1 – Poniamo la sorgente luminosa in alto sopra l’oggetto. La barca proietterà la sua ombra sul piano sottostante che, per la sua posizione prenderà il nome di PIANO ORIZZONTALE. L’esempio qui a sinistra chiarisce meglio il concetto.


Vista di fronte

2 – Spostiamo la sorgente luminosa frontalmente all’oggetto; questo proietterà un’altra ombra sul piano posto alle sue spalle. Questo piano prende il nome di PIANO VERTICALE perchè disposto ortogonalmente a quello precedente.


Vista laterale

3 – Spostiamo, infine, la sorgente luminosa di fianco all’oggetto. Questo, proietterà un’ombra sul piano posto di lato che prende il nome di PIANO LATERALE.


Come detto precedentemente, l’oggetto e i piani di riferimento non debbono essere mai spostati; l’unica cosa che può cambiare la propria posizione è la sorgente luminosa che, coincide con il punto di vista dell’osservatore, cioè con il nostro occhio.

Proiezioni

Congruenza proiezioni

L’oggetto proietta sui piani di riferimento le sue tre ombre. Come si vede nel secondo schema, le tre proiezioni sono tra di loro legate (congruenti) perché riferite tutte allo stesso oggetto posizionato nella medesima posizione.

Fin qui abbiamo rappresentato un oggetto attraverso tre sue proiezioni su tre differenti piani di riferimento tra loro perpendicolari. Ora dobbiamo trasferire questa rappresentazione tridimensionale sul piano bidimensionale del foglio da disegno.

Immaginiamo di far coincidere il Piano Verticale (P.V.) della nostra scatola tridimensionale con il nostro foglio da disegno come nell’esempio 1 qui sotto:

1 – Clicca per ingrandire

A questo punto ruotiamo di 90°, attorno all’asse che lo unisce con P.V., il Piano Laterale (P.L.) fino a farlo divenire complanare con il P.V. come in figura 2:

2 – Ribaltamento del Piano Laterale

Infine, ruotiamo il Piano Orizzontale (P.O.) di 90°, attorno all’asse che lo unisce al P.V., fino a far diventare anch’esso complanare a P.V. stesso, come in figura 3:

3 – Ribaltamento del Piano Orizzontale

Ribaltati i piani, questi, si trovano ad essere tutti complanari cioè, giacenti su di uno stesso piano, come avviene sul nostro foglio da disegno. Vediamo di seguito il risultato finale della proiezione ortogonale della nostra barca (oggetto):

Proiezione ortogonale

 

 

 

 

 


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https://www.youtube.com/watch?v=YEyGoNsT4xI
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Nov 022011
 

Due giorni fa, l’ex CEO (Chief Executive Officer) di Microsoft, Bill Gates, ha partecipato ad un’intervista su ABC News, durante la quale gli è stato chiesto di commentare le affermazioni rilasciate da Steve Jobs nella biografia ufficiale scritta da Walter Isaacson. In particolare gli è stato chiesto di soffermarsi sulla parte in cui afferma che Bill Gates non ha mai avuto idee originali e che si è arricchito solamente strappandone ad altri.

La risposta di Gates è stata abbastanza pesante. Ha detto che con Steve Jobs c’è stata una lunga storia e che la loro relazione da colleghi, trasformatasi poi in concorrenziale, è stata difficile, ma non ha dato alcuna colpa a Steve. Ciò che non convince molto è l’affermazione riguardo la creazione del Mac che, Gates, dice di essere un risultato della sua mente e di quella di Jobs.

Forse è esagerato affermare che abbia rubato solo idee altrui, ma da qua a dire che il Mac è una creazione di entrambi è paradossale. Ecco un passo dell’intervista:

Beh, Steve ed io abbiamo lavorato insieme, creando il Mac. Molta gente lavorava su di esso. Così, nel corso dei 30 anni abbiamo lavorato insieme, ha detto un sacco di cose belle su di me, ma anche un sacco di cose difficili da digerire. Voglio dire, ha dovuto affrontare più volte il fatto che i propri prodotti fossero venduti a prezzi così alti da non potersi neanche affacciare sul mercato. Quindi, il fatto che noi (di Microsoft) avevamo successo grazie ad elevati volumi di prodotti e una gamma di prezzi molto varia (dovuta alla collaborazione con più società), probabilmente non gli è mai andata giù.

In varie occasioni si è sentito assediato. Si sentiva come se fosse il buono e noi i cattivi. Molto comprensibile. Io rispetto Steve, abbiamo avuto modo di lavorare insieme. Ci siamo stimolati a vicenda, anche come concorrenti. Niente di tutto ciò mi preoccupa.

In quest’ultima affermazione forse c’è più di un minimo di verità. Steve, per come è stato ritratto negli anni, da film, articoli, biografie, ma anche dalle battute che lanciava dal palco dei suoi keynote, sentiva molto la pressione e la competitività dei propri concorrenti. Già nei primi anni il più grande nemico era IBM, un obiettivo da eliminare ad ogni costo perché considerato il cattivo per eccellenza, “gli uomini in giacca e cravatta” come li definiva lui. Jobs era un rivoluzionario e aveva idee tutte sue che, il presente ci dimostra, sono state davvero grandi e di grande successo.

Ovviamente, in questo campo buoni e cattivi non esistono; ma che Bill abbia fatto giochi sporchi, soprattutto con Steve, non ci piove. Ma anche Jobs, ricordiamo, prese spunto da altre idee per lo sviluppo di alcuni prodotti. Nonostante questo, non si può sostenere che Jobs e Gates abbiano lavorato insieme nello sviluppo del  Mac, ma con ruoli del tutto differenti. Non si può dire assolutamente che Gates divida il ruolo di creatore col genio di Cupertino.

Articolo scritto e pubblicato su www.lindano.com da Andrea Adesso (3I)

Ott 232011
 

La gomma per cancellare è uno strumento essenziale per il disegno. E’ realizzata in gomma naturale o sintetica ed ha la funzione di rimuovere meccanicamente attraverso lo strofinio, inchiostri o tratti di grafite dal foglio da disegno o da altri supporti per scrittura.

La parola gomma deriva dal termine tardo latino gumma, che ha origine dal greco kómmi che a sua volta ha origini dalla parola egiziana kami.

UN PO’ DI STORIA

La storia della gomma naturale risale a parecchi secoli fa. La materia prima, il lattice, è ricavata da un vegetale chiamato l’albero della gomma, che secerne questo liquido spontaneamente. I primi utilizzi del lattice si devono agli indigeni del Sudamerica, che lo chiamarono cahuchu (legno piangente), da cui è stata tratta la parola comune, caucciù.

La preparazione della miscela avviene tritando e impastando a temperatura ambiente la gomma naturale. La temperatura viene aumentata gradualmente e il mescolamento viene realizzato a caldo fino al raggiungimento della consistenza desiderata. Durante la miscelazione, vengono aggiunti diversi prodotti additivi: piccole quantità di olio minerale o vegetale per favorire la miscelazione, zolfo e altri agenti vulcanizzanti, plastificanti, antiossidanti, pigmenti. La gomma è quindi colata in uno stampo oppure estrusa per assumere la forma desiderata. Viene, infine, sottoposta a temperature e pressioni elevate e, tagliata nella forma finale.

Ne esistono diversi tipi, e la classificazione viene fatta in base al tipo di tratto da rimuovere:

Gommapane

A mescola morbidissima o gommapane – è formata da un materiale plasmabile simile allo stucco. E’ generalmente di colore bianco-grigio anche se è possibile trovarla di altri colori. Lavora “assorbendo” le particelle di grafite e carboncino. A differenza delle altre gomme per cancellare, non si consuma e non perde pezzi, per cui ha una durata maggiore. La sua plasmabilità e formabilità la rende idonea a cancellature di precisione ma è inadatta per il disegno tecnico in quando assorbendo la grafite, dopo poco incapace di assorbirne altra, la rilascerà macchiando il foglio. E’ formata con oli di origine vegetali vulcanizzati, pomice in polvere, carbonato di calcio e altri componenti minori.

Gomma per matita

A mescola morbida o gomma per matita – è fatta di caucciù o di gomme sintetiche. Contiene polveri abrasive, come il carbonato di calcio e altre sostanze che servono a darle la giusta consistenza affinché, quando viene sfregata, si consumi eliminando anche la scrittura cancellata, che altrimenti rimarrebbe attaccata alla gomma stessa. In alcuni casi viene utilizzata montandola su un supporto metallico in testa alle matite detto portagomme. Si usa una miscela chiamata TPE (elastomeri termoplastici) che per l’elevata elasticità, è indicata per rimuovere tratti a matita, penna a sfera, scrittura dattilografica, inchiostro stilografico e china.

Gomma abrasiva

A mescola dura o abrasiva – serve per cancellare i segni di penna o inchiostro. E’ fatta con una mescola più dura che risulta essere maggiormente abrasiva sulla superficie su cui viene sfregata. Si aggiungono per ottenere questo effetto polvere di pomice o polvere di vetro alla miscela.

Gomma abrasiva a rondella

Estremamente abrasiva a rondella ottagonale, per macchine per scrivere –  ormai quasi in disuso, visto l’avvento del computer. Vantava una mescola molto dura che la rendeva altamente abrasiva; in pratica rimuoveva una parte del foglio insieme al tratto impresso dalla macchina per scrivere.

L’avvento del correttore a “bianchetto” e dei correttori a nastro, legati anche all’uso sempre più diffuso del computer, hanno ridotto notevolmente l’impiego di questo strumento. In ogni caso le gomma per cancellare continua a essere utilizzata assieme agli altri oggetti per la scrittura, quali la matita e il temperino, e viene riposta assieme ad essi e custodita in un astuccio.

Bianchetto

Infine, per completezza d informazione bisogna citare anche il bianchetto che, pur non essendo una gomma, nel disegno e nella scrittura ha la stessa funzione.

Il termine di uso comune, indica vari tipi di correttore universale. La forma più comune consiste in una vernice bianca coprente che asciuga rapidamente, capace di nascondere qualsiasi segno di inchiostro, penna biro o matita su fogli di carta o altre superfici. Poiché non consente di vedere il testo precedente alla correzione, il suo uso non è consentito su documenti ufficiali.

Articoli1

Ott 122011
 

Per la serie di articoli che pian piano ci stanno facendo scoprire i tanti attrezzi che utilizzano i professionisti del disegno, oggi parleremo di quello più tecnico di tutti: il Rapidograph. Come dice il nome stesso, Rapidograph altro non è che una “penna rapida”, nel senso in cui il suo segno è sempre preciso, uniforme e continuo consentendo rapidamente di tracciare linee, curve, segmenti o quant’altro il professionista si trova a disegnare. Il Rapidograph, consente, inoltre, di creare linee a spessore sempre costante per cui ne esistono diverse misure, con punte che vanno da 0,1 a 1,5 millimetri.

Clicca per ingrandire

Per ottenere tale risultato, queste particolarissime penne sono formate da un insieme di elementi uniti tra loro. Di questi i principali sono:

  • Il pennino;
  • La fascetta;
  • L’astuccio;
  • La cartuccia ricaricabile.

Il pennino rappresenta la punta vera e propria del rapidograph; è formato a sua volta da due parti, un puntale metallico da cui scorre l’inchiostro e l’anima, un filo metallico sottilissimo che si inserisce nel puntale ed ha lo scopo di dosare l’inchiostro secondo quantità molto limitate ma costanti nel tempo.

La fascetta è la custodia di plastica che racchiude e protegge il puntale; normalmente è formata dall’astuccio, dal puntale e dall’anima di metallo.

Lo stelo è la struttura di plastica che completa la penna racchiudendo la cartuccia di inchiostro e consente la presa E’ formato da un cilindro di plastica e una fascetta colorata che riporta sul dorso impresso il numero di spessore della penna.

La cartuccia è un piccolo serbatoio sigillato che una volta inserito nel pennino si apre consentendo la fuoriuscita dell’inchiostro.

Questo tipo di penne, sono piuttosto costose, proprio perché nella punta sta la grande teknologia dell’attrezzo. L’anima metallica, un filo sottile più di un capello, funziona fintanto che la punta e mantenuta intatta. Infatti, piegandola accidentalmente, l’anima smette di assolvere alla propria funzione e l’inchiostro non scorre più con regolarità. Essendo la precisione e la continuità del segno le caratteristiche salienti di questo strumento, il venir meno di una di queste lo rende inutilizzabile. Per cui il rapidograph richiede una grande manualità e una estrema precisione che, unita al fatto di essere estremamente costoso, lo rende idoneo solo alla mano di un professionista e non di un principiante.

L’inchiostro contenuto nelle cartucce, è un altro degli elementi fondamentali di queste penne; si tratta di una miscela di pigmenti particolarmente fluidi, che difficilmente solidificano nella cartuccia. Speciali canali d’aria all’interno del pennino, favoriscono la fuoriuscita dell’inchiostro dalla punta ed evitano il formarsi di ostrusioni e coaguli che potrebbero bloccarne il deflusso. Una manutenzione attenta e continua della penna ne garantisce il funzionamento per periodi molto lunghi, per cui se si pensa di non utilizzare il rapidograph, questo va smontato e pulito per essere pronto per il suo riutilizzo.

QUALCHE CENNO STORICO

Rapidograph è il nome che è stato utilizzato ufficialmente da Rotring, una fabbrica tedesca, per una linea di prodotti realizzati per la scrittura. In seguito, Chartpak Inc. una fabbrica manifatturiera americana, ha acquistato da Rotring i diritti per commercializzare le penne sotto il marchio di Koh-I-Noor negli Stati Uniti.

E’ nel 1960 che questo tipo di penne evolve verso le attuali. Per la prima volta viene utilizzato il serbatoio di inchiostro da riempire con un contagocce, e si realizzano puntali di differente sezione anche se le parti ancora non erano tra di loro compatibili o intercambiabili.

Diverse erano le fabbriche che producevano negli Stati Uniti questo tipo di penne:  WRICO, Leroy, e Koh-I-Noor. Ognuna di esse utilizzava una specifica sequenza e numerazione, per cui le penne non erano standardizzate. Inoltre, queste prime penne avevano una misurazione in pollici e non in frazioni di metro come oggi. L’International Organization for Standardization (ISO) ha chiesto di standardizzare quattro larghezze penna e di impostare un codice colore per ognuna di esse: 0,25 (bianco), 0,35 (giallo), 0,5 (marrone), 0,7 (blu). Altre misure sono realizzate a partire da queste.

I produttori più conosciuti nel mondo oggi sono Staedtler, Rotring, Faber-Castell e Koh-I-Noor.

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Il tecnigrafo è il piano da disegno utilizzato da architetti, geometri e studi di progettazione prima dell’avvento della computer grafica. Il tecnigrafo è un grande piano di lavoro assolutamente privo di asperità su cui sono montate una coppia di squadre, fissate tra di loro perpendicolarmente e montate su di un goniometro meccanico che ne consente la rotazione. La coppia di squadre, assiste il disegnatore consentendogli di tracciare rette parallele in qualunque direzione; infatti, queste sono fissate ad un braccio mobile che scorre orizzontalmente sul piano di lavoro (il tavolo) e possono a loro volta scorrere verticalmente tramite un binario presente sul braccio a cui sono fissate. Potendo, inoltre grazie al goniometro cui sono fissate, ruotare sia in senso orario che antiorario, la loro possibilità di movimento sul piano è praticamente illimitata.

Tecnigrafo

I tecnigrafi più antichi, avevano un sistema di molle e tiranti con contrappesi che consentivano lo spostamento controllato del gruppo squadre sul piano. Quelli più moderni hanno sostituito molle e tiranti con sofisticati sistemi olio-pneumatici. Pare che il primo esempio di tecnigrafo in Italia sia da datare 1913 proprio in virtù del rinvenimento di un annuncio pubblicitario per la sua vendita.

Paralleligrafo

Il tecnigrafo consente di eseguire tutta una serie di operazioni di disegno complesse che richiederebbero uso di molteplici strumenti come righe, squadre e goniometri. Con il tecnigrafo si possono tracciare linee parallele, ortogonali, inclinate secondo qualunque angolo, misurazione di angoli.

Infine, derivano direttamente dal tecnigrafo altri strumenti di supporto al disegno quali il paralleligrafo e la riga a T.

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Squadretta 30-60°

Squadretta 30-60°

Squadretta 45°

Squadretta 45°

Hanno forma triangolare e vengono utilizzate normalmente in coppia. Abbiamo così:

▪   Una squadretta detta scalena, nella quale l’ipotenusa forma con i cateti angoli di 30° e 60°;

▪   Una squadretta isoscele, nella quale l’ipotenusa forma con i cateti due angoli uguali di 45°.

Il materiale utilizzato è normalmente plastica (acrilico proprio per le sue caratteristiche di trasparenza), ma se ne possono trovare anche in metallo o legno. Su uno dei cateti, chiamato ala, è sovrimpressa una striscia graduata per la misurazione dei tratti che si realizzano. Le squadrette, vengono utilizzate normalmente assieme alla riga per poter tracciare segmenti perpendicolari o incidenti oppure utilizzando gli angoli di uso comune.

UN PO DI STORIA

La prima comparsa delle squadrette per uso tecnico si può far risalire al periodo greco e romano. Si trattava di due bracci fissati tra loro usati in modo diffuso nelle officine e nei cantieri. Solo dal ‘600 acquisì una forma a triangolo pieno con tre asticelle unite come nelle attuali, inclinate con angoli da 30°, 45° e 60°. Dal 1930, l’uso della squadra, lasciò il posto ad uno strumento che entrò a far parte di tutti gli studi di progettazione e disegno tecnico: il TECNIGRAFO.

All’attuale acrilico, come materiale da costruzione, si arrivò attraverso l’uso di differenti materiali, tra cui per primi il legno, il metallo (ferro o bronzo), l’avorio e l’osso. Dall’800 si impiegò anche la celluloide e successivamente l’alluminio per la sua leggerezza e lavorabilità. Solo nel ‘900 si approdò all’attuale acrilico (sostanza sintetica e trasparente) come materiale da costruzione.

squadretta zoppa2

Squadretta zoppa

Esistono anche altre versioni di squadrette tecniche utilizzate in officina dette squadre zoppe. In queste, un lato è assente (normalmente l’ipotenusa) ed il cateto più corto è utilizzato a martello in modo da poter essere appoggiato ad un bordo come guida per tracciare linee parallele o perpendicolari.

USO DELLE SQUADRETTE

Di seguito illustro brevemente alcuni possibili usi delle squadrate per tracciare linee perpendicolari e parallele, ortogonali e inclinate.

 

 

Uso delle squadrette per realizzare linee parallele.

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Ott 082011
 

Forse ci siamo. Il 13 maggio 2011 alle ore 10:40 da Payerne in Svizzera, è decollato il primo aereo al mondo alimentato esclusivamente da celle fotovoltaiche, il SOLAR IMPULSE. 11628 celle montate sulle ali e sulla coda, a realizzare quasi una pelle artificiale che inguaina la struttura portante dell’aereo. La velocità raggiunta da questo velivolo è di circa 60Km/h e ha raggiunto l’altezza massima di 3800m.

Bertrand Piccard

L’aereo è stato progettato da Bertrand Piccard, uno scienziato che lavora per il Politecnico Federale di Losanna in Svizzera.

Il progetto è stato realizzato secondo una scansione temporale precisa che è iniziata nel 2003. Nei successivi anni, tra il 2004 e il 2006 è stato sviluppato il concept, poi è stato realizzato il prototipo denominato Hb-Sia lungo circa 61 metri. A questo punto, nel 2010 è stato effettuato il primo test e il primo volo. Seguiranno ulteriori sperimentazioni con la realizzazione di un aereo ancora più grande (80 metri di apertura alare) e con cabina pressurizzata che consentirà di ospitare persone al suo interno e di effettuare il volo trans-oceanico, ossia di attraversare l’Atlantico alla volta degli Stati Uniti. Il decollo è previsto per il 2012 con un voli sull’equatore con 5 scali per effettuare il cambio di pilota. Ogni tratta durerà 3 o 4 giorni considerando il tempo di resistenza di ogni pilota.

La riduzione del peso delle batterie, consentirà in seguito di aggiungere un pilota per voli ancora più lunghi e non stop con obiettivo il giro del mondo. Questo prototipo, con apertura alare di 80m, pari a quella dell’Airbus A380 avrà le ali avvolte da una sottile ed elastica pellicola di celle fotovoltaiche in grado di assorbire i colpi e le distorsioni del volo. Il velivolo peserà circa 2 tonnellate.

Comunque, questo volo inaugurale, è partito alle ore 10:30 circa dall’aeroporto militare di Payerne, nel Canton Vaud, ed è atterrato allo stesso scalo dopo 87 minuti di volo alla velocità di crociera di 70Km/h e ad un’altitudine di 1200 metri.

Markus Scherdel, che lo ha pilotato, ha affermato che ancora resta molto da fare, ma che questo volo rappresenta un enorme passo avanti verso la concretizzazione del progetto e la realizzazione della visione che, premonizza un ampio e diffuso impiego delle energie rinnovabili in ogni campo della teknica.

Non ci resta che seguire l’evoluzione di questo progetto e sperare che questo possa concretizzarsi e chissà, forse saremo testimoni di un’aviazione a energia solare?

Solar Impulse in decollo

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Ott 062011
 

Una laconica immagine accoglie i visitatori del sito della Apple Inc, quasi una lapide che riporta la foto del fondatore di Apple, Steve Jobs e le date di nascita e di morte di questo grande genio visionario. Questo sito non è certamente il luogo per celebrare la scomparsa di una persona, ma comunque rappresenta un tributo da parte mia verso colui che in qualche modo ha condizionato le mie scelte per oltre 25 anni. Grazie Steve.

Ott 032011
 

matita_bnUna matita è lo strumento base per il disegno. Il termine deriva dal latino lapis haematitas che significa pietra di ematite: infatti, prima della scoperta della grafite, venivano utilizzati con funzioni analoghe, bastoncini di ematite (ossido di ferro).

Grafite

Nella seconda metà del XVI secolo, in Inghilterra furono scoperte miniere di grafite pura e solida che venne inizialmente utilizzata per segnare il bestiame. Questa, in seguito, venne inserita in un profilo di legno esagonale, normalmente pioppo. Il profilo esagonale fu scelto per garantire una solida e corretta impugnatura. All’interno veniva custodita l’anima di grafite che prese il nome di mina. Un’estremità della matita si appuntisce attraverso l’uso del temperino, un apposito strumento a lama, in maniera da rimuovere il rivestimento di legno e far emergere la punta della mina per poter così tracciare il colore. Se la mina sarà composta prevalentemente di grafite, il tratto sarà dunque grigio scuro. Se l’anima della matita sarà, invece, colorata il tratto sarà del colore specifico e la matita prenderà il nome di pastello. La matita può o meno portare su uno degli estremi una piccola gomma montata su supporto metallico che ha la funzione di consentire cancellature rapide.

La mina si realizza utilizzando speciali macchine che, creano una miscela impastando tre materie prime naturali: argilla, grafite e acqua. Più argilla si usa e più la mina sarà dura. Proprio per questo motivo, si possono produrre molti tipi di matite, a seconda delle caratteristiche di durezza e di composizione della mina. Le matite da disegno si differenziano in 19 tipologie: EE (morbidissima), EB, 9B, 8B, 7B, 6B, 5B, 4B, 3B, 2B, B (morbide) HB (media), F, H, 2H, 3H, 4H, 5H, 6H, 7H, 8H, 9H (durissima).

Scala di durezza delle mine

Le matite più morbide permettono di ottenere un nero intenso e un tratto meno deciso (disegno artistico), mentre quelle più dure vengono prevalentemente utilizzate nel disegno tecnico perché lasciano un segno netto e preciso.

La matita viene utilizzata per scrivere quasi esclusivamente su carta e il suo tratto lascia una traccia relativamente debole che può essere facilmente rimossa con strumenti come la gomma. Per questo la matita è adatta soprattutto per il disegno, sia artistico che tecnico, e come mezzo veloce e cancellabile di scrittura.

La matita oltre agli evidenti vantaggi, presenta anche alcuni limiti. Utilizzandola costantemente, saremo costretti a temperarla per averla sempre appuntita e idonea al disegno. Ma questa operazione non può essere effettuata all’infinito, perché ad incerto punto questa sarà inutilizzabile.

Per venire incontro ai disegnatori e fare in modo che questi fossero dotati di matite sempre uguali, sono stati creati nuovi strumenti derivati direttamente da essa. I più diffusi sono: il portamine e il porta micromine.

PORTA-MINE

Porta mine

Come dice il nome, il porta-mine è un contenitore, plastico o metallico che riprende la forma della matita ma è cavo all’interno e può accogliervi le mine di grafite, la anime nere custodite all’interno della matita. Premendo il pulsante all’estremità, viene fatta fuoriuscire una mina. La mina non cade dal portamine, perché è dotata ad un estremo di “strettoio”, un anello metallico che ne aumenta lo spessore e ne impedisce la fuoriuscita. Con il porta-mine, tempereremo la mina utilizzando uno strumento chiamato temperamine,  ma non avremo più l’inconveniente di veder ridurre la matita gradualmente perché il contenitore resterà intatto. In questo modo la presa sarà sempre corretta e ideale.

PORTA MICROMINE

Porta micro-mine

Esiste, inoltre, un ulteriore evoluzione della matita e della mina come strumento di precisione del disegno, chiamato porta-micromina. Rappresenta la matita tecnologicamente più avanzata tanto da essere definita la matita sempre appuntita. Fu realizzata allo scopo di evitare di dover temperare continuamente. Le prime micromine avevano un diametro di 2mm troppo grosse per evitare questa necessità. Pian piano si cercò di ridurre sempre più lo spessore, ma fu solo negli anni ’50, grazie alla tecnologia di polimerizzazione introdotta dalla Faber-Castell, che si cominciarono a produrre le mine da 0,7mm, 0,5mm e da 0,3mm, che non avevano più bisogno di essere temperate. Oggi si sono prodotte mine ancora più sottili fino a 0,2mm.

Matita, porta mine, porta micromine. Ma qual’è quelle giusta da dover utilizzare? Sicuramente la matita, ma lo strumento ideale per lo studente delle scuole medie è sicuramente il porta mine, perché il porta micromine è uno strumento troppo avanzato per ragazzi che per la prima volta si dedicano al disegno tecnico e la matita ha l’inconveniente di ridursi con l’uso.

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Set 282011
 

Finalmente, approfittando del mio giorno libero, mi son potuto recare di presenza al Centro Sicilia per visitare e fotografare per queste pagine, l’Apple Store Catania. Fortunatamente il caos e l’incredibile fila presente i giorni dell’inaugurazione son passati e ho potuto godere degli spazi di questo stupendo luogo senza i problemi della calca e degli spintoni.

Anche lo Store di Catania non smentisce la qualità e la cura maniacale nei dettagli della Apple Inc.

All’ingresso si viene accolti cortesemente da un addetto Apple (tutti rigorosamente in maglia azzurra), che si mette a tua disposizione per guidarti nel negozio e negli acquisiti.

La simmetria regna sovrana, secondo uno schema ormai consolidato in tutti i punti vendita della Apple. L’ordine e la simmetria, infatti, guidano il cliente lungo percorsi semplificati e differenziati, in cui ognuno può visionare i prodotti che più gli aggradano. Si passa così dagli ultraleggeri MacBook Air agli schermi 27” degli iMac equipaggiati con i processori ultraveloci Intel i5 ei7.

A destra l’area portable, con iPod, iPad e iPhone. I grandi tavoli di legno chiaro portano incastonati decine di iPAD che sostituiscono i classici fogli cartacei per le spiegazioni con la loro versione elettronica, rendendo l’esperienza ancora più entusiasmante.

L’interno dello Store

In fondo il GENIUS BAR, dove esperti informatici Apple, guidano neofiti e non alla risoluzione di problemi e li aiutano verso l’acquisto più idoneo alla proprie esigenze.

Lungo i fianchi della grande sala campeggiano immagini e slogan della casa della mela morsicata.

Che dire, dopo Ikea, a Catania mancava solo la Apple…ora dal punto di vista commerciale non abbiamo più nulla da invidiare a nessuno.

Consiglio a tutti una passeggiata allo Store della Apple, è davvero un’esperienza teknologica.

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