Quest’anno iniziate una avventura nell’avventura. La prima perché siete alle scuole medie, alla Dante Alighieri, e la seconda perché in un classe digitale 2.0.
Ma si sa, nuove esperienze, nuovi problemi. Per la prima volta con i libri digitali, leggeri, facili da consultare, interattivi,….mah!! Dove li trovo? Come li installo?
Vi aiuterò io attraverso questa semplice guida. Il libro di testo che adotto da qualche anno è TECNOMEDIA PLUS della Lattes editori, per le classi 2.0 in formato esclusivamente digitale.
Clicca per info
Innanzitutto bisognerà registrarsi sulla piattaforma bSmart attraverso la quale sarà possibile accedere ai propri libri da qualunque dispositivo.
Per farlo, iniziate a seguire questo breve filmato esplicativo:
Bisognerà poi scaricare l’app, MybSmart seguendo queste semplici istruzioni:
Infine, bisognerà attivare il libro digitale acquistato. Fatelo seguendo le procedure indicate nel prossimo video:
SCELTA TABLET O PC
In riferimento a quanto discusso in classe durante l’incontro odierno, ho inserito di seguito il format da stampare, compilare e riconsegnare a scuola per la scelta tra l’acquisto del PC o dell’iPAD.
Vi prego di provvedere nel più breve tempo possibile così da poter avviare le necessarie procedure per l’avvio delle attività didattiche in tempi ragionevoli.
Grazie
Il Consiglio di Classe di 1H
Modulo da Stampare, Compilare e restituire al docente coordinatore di classe
La miniaturizzazione non conosce confini e l’ultimo ritrovato in questa direzione viene dal colosso informatico dell’IBM. Di cosa si tratta? Del più piccolo chip mai realizzato. Se volessimo trovare un termine di paragone per far capire qual’è la sua dimensione bisognerebbe confrontarlo con un granello di sale come mostrato nell’immagine sotto.
Ma nonostante le ridottissime dimensioni, questo prodigio della tecnologia ha una discreta potenza, paragonabile ai chip degli anni ’90, gli X86 come possiamo ricordare. Certo non potrà fare concorrenza ai processori adottati oggi nei computer di uso quotidiano, ma sicuramente è in grado di svolgere egregiamente parecchi compiti. Inoltre, a dispetto della sua dimensione, contiene migliaia di transistor.
I vantaggi di questo minuscolo componente elettronico sono tanti. A partire dal prezzo: per IBM il chip costerà solo 10 centesimi di dollaro; sarà inseribile in ogni oggetto grazie alle sue ridottissime dimensioni, in modo da poter analizzare, monitorare e comunicare dati e informazioni su questo quando necessario. In questo modo sarà possibile monitorare ad esempio le spedizioni, come potrebbe essere possibile evitare le frodi o addirittura i furti proprio in virtù della tracciabilità. Senza dimenticare la possibilità di svolgere compiti quali ordinare dati, effettuare calcoli, svolgere specifiche operazioni.
Il chip è stato presentato da IBM alla conferenza annualeIBM Think 2018 sotto forma di prototipo, ma l’azienda è sicura che nel giro di pochi anni, potremo inserire questi ausili digitali in ogni oggetto che caratterizza la nostra vita quotidiana e chissà che la versione definitiva non sia addirittura più piccola.
Non un drone qualunque, ma un super drone quello sviluppato da un team di 60 ex diplomati del Massachusetts Institute of Technology, il famosissimo MIT di Boston. Insieme questi ingegneri, hanno fondato nel 2014 una società nominata Skydio, una startup finanziata con 70 milioni da due società americane, la Andreessen Horowitz e Nvidia. Un investimento importante che consentirà alla società di produrre, anche se in quantità limitate, i primi pezzi del loro prodotto. Ma di cosa si tratta?
Il nome è R1, ma anche se il nome evoca alla memoria un robot di Guerre Stellari, si tratta di qualcosa di completamente diverso, un nuovo ed evolutissimo concetto di drone. 4 anni di studio e sperimentazione a Redwood City, in California. Un quadricottero dotato di telecamere in altissima risoluzione, 4K, capace di volare in assoluta autonomia in ambienti complessi come i boschi.
Ma il super gadget tecnologico non è solo questo. Oltre ad essere il primo drone in grado di spostarsi autonomamente, dotato dell’intelligenza artificiale fornitagli da un computer Nvidia Jetson TX1 montato al suo interno, è equipaggiato da 4 sistemi di sollevamento da ben 13 telecamere integrate con qualità video 4K.
Le telecamere appunto, sono capaci di effettuare una mappatura completa dell’ambiente circostante che viene in tempo reale interpretato e rielaborato dal potente processore matematico di cui R1 è dotato. Questo gli consente di superare gli ostacoli e muoversi agevolmente ed in totale autonomia all’interno di ambienti anche molto complessi.
Un’altra delle cose eccezionali che riesce a compiere questo incredibile oggetto volante è il riconoscimento dei volti o il colore dei vestiti, cosa che lo rende in grado di seguire un soggetto durante tutti i suoi spostamenti indipendentemente dalla loro natura.
Il volo è quasi esclusivamente autonomo, a tal punto che il drone non può in nessun modo scontrarsi con oggetti o persone durante il suo percorso. Esiste anche una versione di volo manuale, ma è volutamente limitata al massimo. Infatti, durante il controllo manuale, tutte le funzioni di sicurezza autonoma, restano sempre attive in modo da impedire che volutamente il pilota lo possa spingere a schiantarsi contro qualsivoglia oggetto.
Il volo pilotato avviene attraverso un’app da utilizzare su smartphone o tablet, capace per di fornire al manovratore solo poche opzioni di movimento e per visualizzare le anteprime dei video realizzati durante il volo.
Questa meraviglia, presenta però anche dei limiti. Innanzitutto il costo, non certo alla portata di chiunque; 2,499 dollari, rispondono però all’incredibile dotazione di questo gadget di lusso (13 videocamere 4K, un processore, sistemi di rilevamento). Ma bisogna anche dire che la società si rivolge in questo momento ad una clientela molto specializzata, fatta di filmaker, sportivi e aziende per video pubblicitari di alta qualità. L’altro limite sta nell’autonomia. Ancora, a piena carica, il drone può volare solo per 16 minuti. Vedremo cosa ci riserverà in futuro, questa creativa startup.
Cade oggi, primo aprile un anniversario importante per l’azienda più capitalizzata al mondo, che ha fatto e fa sognare milioni di fans, che è capace di innovare e innovarsi continuamente; sto parlando ovviamente di Apple Inc che oggi compie 40 anni.
Nata in un garage dalla passione e dallo straordinario genio dei suoi tre mentori, Steve Jobs, Steve Wozniak e Ronald Wayne, la Apple Computer diventa lentamente, ma inesorabilmente, punto di riferimento per tutto il mercato dell’informatica per il suo incredibile sistema operativo a icone e per la qualità tecnica dei suoi prodotti.
Steve Jobs – Ronald Wayne – Steve Wozniak
Sempre innovativi, o per tecnologia o per design, l’azienda finisce sempre per tracciare la strada del mercato dell’informatica nel bene o nel male.
Passando per una profonda crisi che l’ha portata ad un passo dal fallimento fino al reintegro come CEO nell’azienda, di Steve Jobs, la Apple è cresciuta giorno dopo giorno passando da società di nicchia a multinazionale con il più alto fatturato di qualunque azienda mei esistita.
E’ riuscita a creare un grado di fidelizzazione nell’utenza che nessun brand ha mai lontanamente raggiunto; ogni suo prodotto è atteso da migliaia di fans dietro le vetrine dei suoi Store sparsi nel mondo.
Il nuovo Campus della Apple in realizzazione a Cupertino (California)
Ogni giorno milioni di persone utilizzano i suoi dispositivi e i suoi software per lavorare, giocare, interagire, comunicare, apprendere con estrema semplicità all’interno di un design e una perfezione stilistica quasi maniacale come pretendeva il suo grande creatore Steve Jobs.
Il CUBO di vetro della Apple sulla V strada a New York
Sembrano di più, ma sono passati solo 40 anni dalla sua fondazione e questa azienda ancora giovane sarà sicuramente ancora in grado di stupire il mondo con i suoi incredibili prodotti.
In base all’esperienza maturata come docente in una classe 2.0, ho ritenuto fosse utile condividere con voi la mia prima volta in una classe del genere e le strategie adottate in quell’occasione.
Riprendiamo la discussione dall’articolo precedente (Docente 2.0).
Essere un Docente 2.0 significa “cambiare”, dove per cambiamento si intende tutto, a cominciare dal luogo. Le nuove tecnologie consentono la realizzazione di lavori collaborativi (i vecchi lavori di gruppo), rivisti in virtù delle nuove modalità comunicative. Oggi condividere un documento non necessita la presenza fisica sul luogo, ma semplicemente una connessione internet. La delocalizzazione e la dematerializzazione sono il futuro del lavoro e della comunicazione. Molti lo hanno già capito e spostato la propria attività in un ambito virtuale attraverso blog, e-commerce, social o altro. Questo non significa che le lezioni non si dovranno più svolgere in classe, ma che la classe assumerà una nuova identità, dovrà divenire un nuovo spazio creativo in cui le modalità di scambio e interazione tra gli occupanti (alunni e docenti) dovrà svolgersi in modo diverso, così da favorire questo nuovo processo comunicativo. Quindi, la prima cosa da cambiare sarà lo spazio fisico in cui si lavora. La classe, i banchi, i colori delle pareti, la disposizione degli occupanti dovrà essere realizzata in modo nuovo, più consono a questo processo apprenditivo. I banchi potranno essere conseguentemente disposti ad isole, a percorso, aree multimediali di comunicazione e condivisione, trasformabili e riposizionabili per adattarli alle nuove attività. Così come cambiamo la disposizione dei mobili in casa per riadattare lo stesso ambiente (la stanza) alle nuove esigenze abitative, anche la classe deve trasformarsi per accogliere un nuovo modo di fruire la didattica. Lavagne, computer, cablaggio, impianto elettrico suggeriscono e sollecitano questo cambiamento. Alla Dante ci siamo posti da subito questo problema, cercando di immaginare e prevedere possibili ricadute sul funzionamento della didattica. La scelta doveva essere nella direzione del cambiamento, di qualcosa di diverso e più idoneo e dopo diverse considerazioni e prove il miglior compromesso tra problematiche tecnico-logistiche e didattiche è stato quello di adottare una disposizione ad isole (vedi sotto):
Alcune Soluzioni Planimetriche Valutate per la Classe
Prima Soluzione
Seconda Soluzione
Soluzione Finale
Il cambiamento nella forma, destabilizzante all’inizio, diventa ben presto familiare e si impara a gestire questa nuova dimensione. Ai ragazzi questa disposizione piace molto predisponendoli positivamente all’attività didattica. Genera, ovviamente, più confusione e interazione tra loro, però facilità e molto, il processo collaborativo e l’interazione attiva tra loro. È come dare loro l’autorizzazione a dialogare, inizialmente (come prevedibile) in maniera scomposta, ma ben presto questa nuova dimensione diventa familiare e facilmente padroneggiabile sia nelle relazioni interpersonali che in quelle con il docente.
UNA GIORNATA QUALUNQUE NELLA 2.0
Assegniamo i ruoli. Come qualunque gioco o attività, i partecipanti debbono assumere un ruolo. Ovviamente il docente è il coach, svolgendo la funzione di coordinatore e guida delle attività della classe. La disposizione ad isole evita il problema della formazione dei gruppi (che comunque cambieranno di volta in volta). Giochiamo con gli alunni stabilendo con loro le regole di questo gioco. Per primo dovranno scegliere un nome per il loro gruppo. Visto la disposizione delle postazioni, la scelta che hanno fatto è stata quella di chiamarsi come alcune isole italiane (Sicilia, Sardegna, Favignana e Salina). Questa schematizzazione è stata riportata sulla LIM della classe sotto forma di mappa planimetrica.
I gruppi così formati, hanno avuto assegnato il compito di nominare un segretario per isola, il cui ruolo era quello di supervisionare e organizzare il lavoro della propria squadra.
A questo punto bisognava dare inizio al gioco (lezione). Stabilito l’argomento, ho messo in evidenza sulla LIM i punti chiave, dividendoli per argomenti verticali (per un solo gruppo) e trasversali (per tutti i gruppi) e facendo scegliere loro quale avrebbero voluto sviluppare.
SIGNORE E SIGNORI, AL LAVORO
Dopo un primo momento di smarrimento in cui la confusione era la protagonista in aula, magicamente tutti (e dico tutti) gli alunni si sono messi a lavorare collaborando tra di loro, suggerendosi, aiutandosi, consultandosi e hanno iniziato a scandagliare la rete senza il mio benché minimo intervento. Anzi ho addirittura filmato parte della lezione senza che loro si accorgessero della mia presenza (vedi alla fine dell’articolo).
Fondamentale in questa fase è la figura del docente-coach, necessaria per fornire loro chiavi di ricerca, suggerimenti, indicazioni utili raggiungere il risultato desiderato. L’abilità del coach sta nel far funzionare il gruppo come squadra, e in quest’ottica l’insegnante deve concentrare la propria attività nel far massimizzare il risultato dei gruppi con il minimo sforzo possibile.
In un primo momento questo nuovo approccio appare distorsivo, lesivo delle procedure finora adottate nell’insegnamento, ma vi assicuro che la sperimentazione condotta, ha portato a risultati davvero insperati, senza nuocere o intaccare programmazione, apprendimento e obiettivi, tipici del “vecchio” modo di fare didattica. Anzi, nell’esperienza maturata, l’osservazione dei meccanismi e delle dinamiche che si sono sviluppate, mi ha fortemente motivato e spronato a ripeterla. Forse in tutto ciò sfugge inizialmente la valutazione individuale a discapito di quella del gruppo. L’acquisizione dei contenuti sviluppati (e quindi approfonditi) dal discente durante la ricerca e la composizione del puzzle disciplinare, ci consente comunque di effettuare verifiche incrociate e valutare abbondantemente e compiutamente l’alunno in modi differenti (interrogazione orale, controllo del materiale prodotto, elaborazioni o approfondimenti sviluppati, capacità individuali nel gestire lo strumento elettronico).
A testimonianza di quanto descritto, allego foto e video di alcuni momenti di lezione nella 2.0 alla Dante Alighieri. Buona visione.
Signori, si parte. Con un pò di ritardo (ci perdonerete per questo), ma anche nella nostra scuola si avvia la sperimentazione delle Classi 2.0.
Però, prima di entrare nel merito, molti di voi si staranno chiedendo cosa sono le Classi 2.0.
Il Ministero nelle sue note introduttive scrive “L’azione Cl@ssi 2.0 intende offrire la possibilità di verificare come e quanto, attraverso l’utilizzo costante e diffuso delle tecnologie nella pratica didattica quotidiana, l’ambiente di apprendimento possa essere trasformato.“.
In pratica, attraverso l’uso di nuove tecnologie si sperimentano nuovi traguardi di insegnamento più vicini alle nuove generazioni. Azione che mette in gioco soprattutto gli insegnanti di una scuola, quella italiana, che non brilla certo per innovazione. Classe 2.0 non vuol dire soltanto usare il computer in classe; vuol dire sperimentare nuove forme di insegnamento, nuove procedure, nuovi strumenti di lavoro. Vuol dire scardinare il processo comunicativo e se possibile in alcuni casi invertirlo. L’allievo non deve essere più lo spettatore passivo di questo processo, ma una parte integrante della lezione, deve essere lui stesso lezione. La collaborazione con l’insegnante e con i compagni nella costruzione di un percorso apprenditivo, lo lega indissolubilmente a questo, rendendolo una sua parte. L’alunno, non ascolta la lezione, ma la fa, la crea insieme agli altri attori di questo spettacolo che sono i compagni e gli insegnanti. Computer, LIM, tablet, internet, sono non più un corollario a questa attività, ma gli strumenti attraverso cui realizzarla. Social network, programmi di messaggistica, cellulari, sono i mezzi con cui questa generazione interagisce e realizza i propri processi comunicativi e di socializzazione. Ed è attraverso questi strumenti che una scuola moderna e avanzata, deve realizzare il suo percorso di avvicinamento alle nuove generazioni di nativi digitali.
Nasce così, sulla scorta di altre sperimentazioni già realizzate in Europa, il progetto Classi 2.0. Si tratta di un processo che si attiva a diversi livelli e non soltanto a quello dell’insegnamento/apprendimento. Si tratta di un processo che coinvolge le scuole nella loro autonomia, nel piano dell’offerta formativa che si vuole fornire al territorio. Un’innovazione centrata non tanto sulla tecnologia e i suoi strumenti, ma sulle dinamiche che questo processo è in grado di innescare sul territorio.
Gli insegnanti sono chiamati, perciò, ad un arduo compito. Debbono mettersi in gioco; smontare la propria struttura metodologica e sperimentare. Usare la propria esperienza didattica per imparare la tecnologia avendo sempre in mente lo scopo didattico delle scelte effettuate quando si prova a costruire una lezione con modalità nuove.
Bisogna partire dal principio che quello che si insegna è fondamentalmente sempre uguale, mentre sono sempre diversi i soggetti con cui si interagisce e la realtà che li circonda.
Gli strumenti tecnologici richiesti all’interno di una Classe 2.0, non sono la soluzione a tutti i problemi, ma i mezzi concreti con cui un docente può accorciare le distanze che lo separano dalla società digitale verso cui ci stiamo dirigendo.
2.0 ALLA DANTE
E’ sulla scorta di queste premesse che anche noi della Dante iniziamo quest’anno la sperimentazione. Abbiamo deciso di aggiornare la nostra offerta formativa con strumenti nuovi quali le Classi 2.0, appunto, i registri elettronici e le LIM nelle classi. Come in ogni percorso nuovo e sconosciuto, anche noi siamo consapevoli degli errori e dei ritardi che questo potrà causare, ma era giusto partire e provare sul campo questi nuovi percorsi che tanto successo e risultati stanno dando in altri paesi.
Una classe, la prima H composta da 22 alunni, un cablaggio specifico dell’aula, dei computer portatili in comodato d’uso, una LIM touch, software didattici e tanta buona volontà sono gli strumenti con cui questo Consiglio di Classe si è armato ed è partito. Ci consideriamo dei pionieri, ma speriamo di riuscire a raggiungere gli obiettivi che ci siamo prefissati e di poter, dall’anno prossimo iniziare a condividere con altri colleghi, i risultati di questa sperimentazione.
Molti di voi lo avranno intuito dal video pubblicato in queste pagine nei giorni precedenti. La conferenza degli sviluppatori della Apple è ancora in corso e sono state presentate durante la convention al Moscone Center tutte le novità hardware e software della casa di Cupertino. Ma una cosa in particolare mi ha colpito, ha colpito la mia fantasia e il mio immaginario. Ancora una volta la Apple è riuscita a stupirmi reinventando dalla base qualcosa di consueto. iOS 7 porta con se tante novità soprattutto quelle nella grafica, OSX Maverich il nuovo sistema operativo per computer Apple, porta con sé oltre 200 innovazioni, novità che utilizzeremo non appena saranno disponibili per i nostri dispositivi, tutte belle cose, sì, ma attese e in qualche modo già preventivate. Ciò che mi ha stupito è la presentazione invece di un oggetto hardware, il nuovo Mac Pro, con caratteristiche e contenuti assolutamente innovativi. Ancora una volta gli ingegneri e designer della Apple sono riusciti a stupire reinventando dalla base il computer desktop. Un piccolissimo cilindro nero lucido, una forma essenziale, lineare, un oggetto d’arredamento. A guardarlo si penserebbe ad una lampada, a un vaso ma non sicuramente al computer top della gamma della Apple.
Si tratta di un progetto avanzatissimo; un core termico unificato capace di distribuire in modo efficiente tutta la capacità termica fra i processori. Questi saranno due nuovissimi processori Intel Xeon E5 di prossima generazione. La workstation integrerà in uno spazio pari ad 1/8 di quello occupato dalla precedente generazione di Mac Pro, due GPU grafiche di classe workstation (pare saranno delle ATI FireProottimizzate e realizzate a posta per Apple capaci di ottenere prestazioni superiori del 45% rispetto alle più veloci schede grafiche attualmente sul mercato, 6 porte Thunderbolt 2 che consentiranno di collegare in serie fino a 36 devices a piena velocità in catena, archiviazione basata su memorie flash basata su PCIe e memoria ECC. In poche parole, un mostro.
I nuovi processori Intel Xeon E5 saranno disponibili con configurazioni fino a 12 core e saranno capaci di offrire prestazioni di calcolo in virgola mobile pari al doppio degli attuali Xeon.
Anche i classici colli di bottiglia dei computer attuali saranno superati; per l’archiviazione dati le memorie flash basate su PCIe, consentiranno uno storage fino a 10 volte più veloce dei tradizionali dischi rigidi desktop e l’aggiunta delle memoria ECC DDR3 a quattro canali a 1866MHz consentirà un flusso dati fino a 60GBps. Per chiarire, la nuova macchina consentirà di montare video in 4K (4 volte il FullHD) a risoluzione piena mentre si esegue allo stesso tempo il rendering degli effetti in background.
Con le sue 6 porte Thunderbolt, 4 porte USB 3, 2 porte Gigabit Ethernet e una porta HDMI 1.4, Apple ha creato anche la macchina più espandibile in assoluto.
Ancora Apple non ha reso noto le date di uscita ed i costi di questo “mostro”, ma ha confermato che sarà entro l’anno. Il mondo dei professionisti ha nuovamente di che gioire, si tratta solo di aspettare.
Era da tempo che pensavo di parlarne perché si annuncia come una delle maggiori novità tecnologiche, ma ho sempre rinviato. Forse ora è giunto il momento di parlare dei Google Glass, gli occhiali con realtà aumentata che Google proporrà entro la fine dell’anno o nel 2014 al mercato consumer.
Di cosa si tratta? Di un paio di occhiali davvero speciali. Il progetto è nato circa tre anni fa nei laboratori Google X Lab dagli studi di un ingegnere, Babak Parviz, esperto in reti neurali e auto-guida. Gli occhiali sono già in giro da un po’ di tempo, consegnati nelle mani di 1500 sviluppatori tester scelti, al fine di valutarne l’esperienza d’uso, le caratteristiche, individuarne i bugs e altro.
I Google Glass altro non sono che una montatura di occhiali al cui interno si trova un computer in miniatura. La montatura, dispone di un micro display visibile solo da chi indossa le lenti. Il dispositivo ha una fotocamera integrata che vede ciò che vede chi lo indossa, è dotato di connessioni GPS, Wi-Fi e Bluetooth. Gli occhiali, in pratica, sono in grado di gestire molte delle attività che oggi eseguiamo attraverso il nostro smartphone. I Google Glass, in pratica, tramite Wi-Fi o Bluetooth, si possono interfacciare con un dispositivo Android o iPhone per usare i dati 3G e 4G delle reti cellulari, ma integra un chip GPS per la navigazione.
Grazie ai test che Google sta effettuando con i 1500 beta tester, continue modifiche vengono apportate ai magici occhiali. Continue correzioni di bugs, e ottimizzazioni del codice e delle funzioni avvicinano sempre di più all’utente finale questa nuova meraviglia tecnologica. Pare tra l’altro che il caricamento dei dati, e quindi l’aggiornamento in background potrà avvenire solo quando gli occhiali saranno collegati a una fonte di alimentazione oppure in presenza di una rete Wi-Fi locale.
I Glass visualizzeranno in tempo reale le notifiche di Google+, sarà consentito trascrivere messaggi molto più velocemente, giungeranno notifiche in modalità hanguot e molto altro.
Google ha in programma di porre in vendita i Google Glass entro la fine del 2013 e il costo per il mercato consumer sarà probabilmente intorno ai 1.200 euro.
Insegnanti battono alunni 1 – 0. Perlomeno negli Stati uniti. Infatti, da uno studio curato dal Pew Research Center e dal College Board, risulta che gli insegnanti sono più social, più digitali e più avanti tecnologicamente della media nazionale e degli alunni a cui insegnano. La ricerca dal titolo “How teachers are using tecnhology” ha infatti dimostrato che i docenti americani delle scuole superiori e medie, naviga quotidianamente ad alta velocità sulla fibra ottica, smanetta sui tablet o sugli smartphone, guarda i video su YouTube e legge gli e-reader più dei libri cartacei. Quindi dallo studio e dalle interviste viene fuori un nuovo aspetto dell’insegnante che superando le barriere generazionali e mentali, ha aggiornato il proprio curricolo e la propria formazione, diventando sempre più dipendente dalle tecnologia.
Lo studio evidenzia come il 94% dei professori possiede un cellulare (contro il 84% della media nazionale), di questi il 50% ha uno smartphone di ultima generazione, possiede un notebook o un pc e ne fa uso continuativo, uno su due ha una console per gioco e svago e il 47% legge libri su e-reader. Stranamente risulta fanalino di coda il tablet: solo il 39% lo possiede. Inoltre, il 63% degli insegnanti intervistati con età superiore a 55 anni, ama ascoltare la musica su lettori Mp3 e che molti di loro non sdegnino lo svago su console come la XBox o la Playstation.
Le lezioni vengono preparate attraverso il classico sistema, integrato però con tutto ciò che oggi la tecnologia fornisce. Per cui il docente consulta i social network (percentuale anche in questo caso superiore alla media nazionale) e usa Wikipedia, Google e ogni altro strumento in modo massiccio e sistematico.
Il vero problema nasce dalla veridicità e dal controllo delle informazioni presenti sulla rete. Il parere degli intervistati è che la quantità di informazioni presenti rende, allo studente, difficile distinguere tra informazione corretta e non. Infatti, la maggior parte degli intervistati è convinto che per avere voti alti sarà indispensabile “la capacità di giudicare la qualità delle informazioni” oltre all’abilità nell’uso degli strumenti tecnologici disponibili.
Quindi gli insegnanti battono gli alunni 1 a 0….perlomeno in America. Ma, in Italia?
Qui discutiamo ancora sull’uso o meno del cellulare in classe. Mentre se ne parla, il mondo va avanti e non aspetta. Forse è il momento che oltre a cambiare classe dirigente si cominci anche a cambiare il ruolo della scuola nella formazione. La scuola italiana sta perdendo questo treno, restando alla finestra a guardare il progresso che le passa sotto il naso incapace di coglierne l’essenza e di guidarne l’apprendimento. Peccato, ma faremo di tutto per cambiare questo status.
Abbiamo appena finito di parlare di MYO che, trovo sulla rete tanto materiale su un altro dispositivo tecnologico con finalità simili, cioè il controllo dei computer attraverso le gestures. Si tratta di Leap Motion un dispositivo grande poco più di un iPod che consente di riconoscere i gesti di un operatore e tradurli simultaneamente in comandi per il computer. Leap Motion, consente di interagire con i computers attraverso la gestualità delle mani, agendo su uno spazio tridimensionale. Questo piccolo scatolotto, va posto dinnanzi al computer o lo schermo di questo e muovendo le mani, consente di effettuare operazioni e comandi sul dispositivo. Il prodotto è compatibile sia con i Mac che con i PC, quando con i più diffusi sistemi operativi.
A differenza di MYO, Leap Motion riconosce il movimento delle dita e delle mani, ma anche di oggetti che queste afferrano, ad esempio una matita. Il prodotto, sviluppato da una startup californiana, è particolarmente sensibile e preciso a tal punto che i produttori affermano che possa essere usato per firmare i documenti in modalità digitale.
Le possibili applicazioni sono tante, soprattuto nei campi come quelli dei giochi, della gestione a livello di sistema operativo, nella computer grafica e nel CAD.
Anche questo dispositivo si colloca in una fascia di prezzo abbordabilissima; il produttore, infatti, ha iniziato la prenotazione del prodotto (le vendite inizieranno il 13 maggio prossimo) ad un prezzo di 79,99$, quindi anche meno del MYO. Funzionerà come detto su tutti i computer MAC con sistema operativo OSX e sui PC con montato Windows nelle versioni 7 e 8. Tools di sviluppo per programmatori, saranno inoltre forniti al fine di poter realizzare specifiche applicazioni dedicate.
IBM, il colosso dell’elettronica mondiale, pare abbia trovato un nuovo modo per trasmettere le informazioni attraverso l’uso della luce anziché l’elettricità. Questo apre scenari nuovi per i computer del futuro, capaci in questo modo di trasmettere una quantità di dati maggiore e in minor tempo. Questa nuova tecnologia, chiamata “nanofotonica in silicio“, consentirà di integrare in un unico chip, costruito con una maggiore miniaturizzazione rispetto al passato, sia componenti ottici che componenti elettrici ed elettronici.
Questo consentirà di collegare al volo diversi computer e scavalcando il problema classico della saturazione di banda e della limitazione del trasferimento dati nelle interconnessioni tradizionali.
Il responsabile di questa ricerca, il dottor John E. Kelly, Senior Vice President e Director di IBM Research, orgogliosamente ha affermato “che questa scoperta è una grande rivoluzione ed è frutto di dieci anni di ricerca e sperimentazione e consentirà di trasferire la tecnologia della nanofotonica in silicio nell’ambiente di produzione reale, con un impatto su una vasta gamma di applicazioni”. La nanofotonica, ormai matura per la commercializzazione e l’uso in ambito aziendale si pone come la soluzione più idonea alla sempre maggiore richiesta di velocità per la trasmissione in tempo reale delle informazioni e per il collegamento di sempre maggiori quantità di terminali indipendentemente dalla loro distanza fisica. Sarà, infatti, possibile trasferire terabyte di dati in pochi istanti da una parte all’altra del pianeta grazie agli impulsi luminosi delle fibre ottiche.
IBM è riuscita in questo miracolo elettronico aggiungendo alcuni moduli ad una linea di fabbricazione di CMOS da 90 nm ad alte prestazioni. Di conseguenza, è possibile fabbricare, in una normale linea di produzione, singoli chip contenenti anche ricetrasmettitori per comunicazioni ottiche, con una significativa riduzione di costi rispetto agli approcci tradizionali. La tecnologia della nanofotonica CMOS, dimostra la possibilità di costruire ricetrasmettitori in grado di superare una velocità di trasmissione dati di 25 Gbps per canale riuscendo, inoltre, ad implementare una serie di flussi di dati ottici paralleli su di un’unica fibra, utilizzando dispositivi WDM “on-chip” compatti. Tutto questo, ossia la capacità di scambiare simultaneamente grandi flussi di dati in parallelo e di scambiarli a velocità di trasmissione elevate, consentirà la scalabilità delle comunicazioni ottiche del futuro.
Visto che ci occupiamo di tecnologia non possiamo, noi di educazionetecnica.com, non raccontare questo passo tecnologico verso la fantascienza. E ancora meglio se questo incredibile passo viene compiuto grazie a studiosi italiani e sviluppato in una sede universitaria del nostro paese.
Infatti, all’interno del progetto europeo Patchycolloids finanziato dall’European Research Council, un team di ricercatori dell’Università “La Sapienza” di Roma, guidati dal professor Francesco Sciortino, docente di Struttura della Materia, ha individuato il modo in cui si “disegnano” le caratteristiche del materiale agendo sulle proprietà superficiali delle particelle colloidali.
[ le particelle colloidali sono piccolissime particelle disciolte in un solvente e dotate di dimensioni comprese fra le decine di nanometri e il micron, quindi paragonabili alla lunghezza d’onda della luce ]
La scoperta apre scenari nuovi e incredibili. Sarà infatti un cristallo a costituire il cuore dei computer del futuro, definiti appunto fotonici che, useranno la luce per trasmettere le informazioni. La tecnica messa a punto dagli studiosi dell’ateneo romano, consentirà attraverso l’uso di cristalli simili all’opale, di trasmettere in maniera ordinata informazioni di ogni genere. Il prof. Sciortino, spiega che i cristalli, a differenza dell’opale, debbono essere puri cioè formati da particelle tutte orientate nella stessa direzione. Per creare questo minerale “perfetto”, si è pensato di agire sulle proprietà superficiali delle particelle colloidali. In particolare, hanno disegnato sulla loro superficie delle zone triangolari con proprietà attrattive, riuscendo così a imporre la geometria con cui le particelle interagiscono e si auto-assemblano nel cristallo.
La scoperta è di quelle epocali; infatti, grazie a questa tecnologia si potranno assemblare e creare materiali nuovi con caratteristiche fisiche diverse a seconda della direzione in cui vengono sollecitati. Un materiale, potrà ad esempio reagire in maniera diversa a seconda del tipo di forza a cui e sottoposta, ad esempio se di trazione o di compressione.
Spiega, infine, il prof. Sciortino che: “il risultato di questa ricerca è stato raggiunto grazie all’intuizione del giovane ricercatore Flavio Romano che lavora oggi per l’Università di Oxford. Dopo mesi di analisi di modelli che cristallizzavano in strutture polimorfiche, Romano ha verificato la possibilità di ‘assemblare’ un cristallo perfetto agendo sulle proprietà superficiali delle particelle colloidali”.
La speranza del prof. Sciortino, ma non solo sua è che questa scoperta possa presto essere utilizzata a livello industriale.
Poco tempo fa mi è capitato di ascoltare un interessantissimo servizio in televisione che parlava di Sclerosi Laterale Amiotrofica (SLA). Direte voi che affinità c’è tra un sito che parla di tecnologia come il nostro e una terribile malattia come la SLA. La sintesi è proprio il PROGETTO BRINDISYS. Questo, è un progetto finanziato dall’Agenzia di Ricerca per la Sclerosi Laterale Amiotrofica (ARiSLA) della durata di tre anni il cui scopo è valutare i benefici di un dispositivo di comunicazione basato su una tecnologia chiamata BCI (acronimo che si legge Brain Computer Interface; è un mezzo di comunicazione diretto tra il cervello e un dispositivo esterno quale ad esempio un computer) ossia come è possibile interfacciare il cervello umano ad un computer, al fine di supportare l’autonomia di chi è affetto da questa malattia.
[ La sclerosi laterale amiotrofica è una gravissima patologia degenerativa che colpisce un gruppo specifico di cellule del midollo spinale, i motoneuroni. Queste cellule nervose svolgono la funzione fondamentale di trasmettere ai muscoli i comandi per il movimento. La scomparsa dei motoneuroni causa una progressiva atrofia muscolare: i muscoli volontari non ricevono più i comandi provenienti del cervello e, nel tempo, si atrofizzano, portando a una paralisi progressiva dei quattro arti e dei muscoli deputati alla deglutizione e alla parola. ].
Il progetto Brindisys, è nato con lo scopo di aiutare le persone affette da questa malattia, le quali perdono progressivamente le loro funzioni motorie, costringendole ad uno stato di completa dipendenza da un caregiver.
[ Caregiver, è un termine inglese che indica coloro che si occupano di offrire cure ed assistenza ad un’altra persona. I caregiver possono essere familiari, amici o persone con ruoli diversi a seconda delle necessità dell’assistito. ].
La dipendenza sempre più spinta da un’altra persona, comporta come conseguenza primaria, l’isolamento sociale, l’allontanamento progressivo dalle comuni attività che una normale motorietà consente. Brindisys, non si vuole sostituire al caregiver, ma sfruttare al massimo le capacità residue della persona al fine di evitare questo lento ma inevitabile isolamento. Attraverso Brindisys, anche in assenza delle funzioni muscolari, dovrebbe essere possibile garantire all’utente alcune funzionalità di comunicazione attraverso l’utilizzo della tecnologia delle BCI. Infatti, questi sistemi sono in grado di individuare la modulazione dell’attività cerebrale volontaria dell’individuo attraverso l’analisi del suo elettroencefalogramma (EEG) e di convertire questi segnali in semplici comandi.
Oggi, nonostante il grande sviluppo delle tecnologie BCI, che vede coinvolto un grande numero di laboratori nel mondo, risulta ancora lontano dall’utilizzatore finale, ossia il paziente, a causa del fatto che la ricerca è ancora confinata a ll’interno dei laboratori e perché per il loro utilizzo, tale sistema richiede personale altamente specializzato e disponibilità di computer e sistemi di acquisizione EEG a portata di mano. E proprio per questo motivo nasce il progetto Brindisys, proprio per realizzare un semplice ma affidabile dispositivo BCI, completo di strumento di comunicazione di base inserito in un proprio hardware dedicato ed in cui le operazioni di calibrazione e regolazione siano quanto più possibile automatizzate. Questo al fine di superare i limiti della ricerca e dell’applicazione delle tecnologie BCI. Rendere il sistema indipendente dal personal computer, e dall’azione di staff specializzato per il suo impiego. Questo comporterà enormi vantaggi soprattutto in termini economici e di utilizzo. Il progetto prevede, inoltre, il coinvolgimento dei malati sin dalle prime fasi di progettazione e sviluppo al fine di realizzare un dispositivo che risponda quanto più possibile alle loro necessità.
Questo progetto, gestito da un consorzio multidisciplinare, sta sviluppando hardware dedicato e studiando nuovi algoritmi per la realizzazione di questo dispositivo BCI, inoltre verrà portata avanti una sperimentazione clinica per valutare l’impatto sulla qualità della vita degli utenti finali. Vedremo se in questo caso la tecnologia sarà veramente in grado di migliorare la vita alle persone affette da questa malattia.