Dic 112021
 

L’Esposizione Universale 2020 si sta svolgendo per la prima volta in un paese del Medioriente ed esattamente negli Emirati Arabi Uniti. Doveva tenersi, secondo il programma originale, nel 2020 tra il 1 ottobre 2020 e il 31 marzo 2021 ma causa della pandemia da COVID-19, che ha bloccato tutti gli spostamenti tra paesi, l’evento è stato posticipato, grazie all’unanimità del comitato organizzativo, di un anno, svolgendosi così, sempre a Dubai ma tra il 1 ottobre 2021 e il 31 marzo 2022, conservando però la vecchia denominazione di Expo 2020. 

La capitale araba, ha vinto la selezione come sede dell’Expo concorrendo contro altre grandi città della Russia, della Turchia e San Paolo del Brasile, aggiudicandosi tutte e tre le votazioni.

Come sempre in questa grande città cosmopolita e in continua evoluzione, tutto è stato fatto in grande. È stata realizzata una nuova metropolitana che collega l’area espositiva di circa 400 ettari, posta all’esterno della città in direzione di Abu Dhabi e vicina al nuovo aeroporto internazionale Al Maktum (sarà inaugurato nel 2025).

Il progetto ha la forma di un fiore a tre petali il cui centro è la piazza chiamata Al Wasl, dall’antico nome della città di Dubai il cui significato è appunto “connessione”,  su cui si basa, appunto, il tema dell’esposizione, cioè “Connecting Minds, Creating the Future”, ossia collegare le menti per creare il futuro. L’esposizione, inoltre, cade in un anno molto particolare e molto importante per gli Emirati Arabi Uniti coincidendo, infatti, con il 50º anniversario della loro fondazione e con il giubileo d’oro dello Stato due degli eventi maggiormente significativi per il paese arabo.

I tre petali su cui si sviluppa l’immenso impianto dell’Expo, rappresentano le tre aree tematiche della manifestazione ossia opportunità, sostenibilità e mobilità. Ognuna di esse ospita i padiglioni progettati secondo le linee e il design dei suck arabi e tra i petali troviamo dislocati i tre padiglioni più rappresentativi, cui il padiglione del benvenuto, il padiglione dell’innovazione e il padiglione degli Emirati Arabi Uniti. Sulla restante area trovano posto  tutti i tradizionali padiglioni nazionali come per ogni Expo.

Tutta l’area è ricoperta da vele in materiale fotovoltaico capaci di generare il 50% dell’energia richiesta dall’intero sito espositivo inoltre queste tende vengono, utilizzate durante la sera, per le proiezioni digitali. Lo spostamento all’interno del sito dell’Expo, avviene tramite una cabinovia e un sistema di 750 bus a emissioni zero chiamati Expo Riders.

Al Wasl, è il cuore dell’Expo 2020 e rappresenta il luogo ideale per lo scambio e l’incontro tra le civiltà, ricordiamo che a Dubai convivono circa 200 etnie differenti. Un enorme sfera semi trasparente, quasi una bolla impercettibile capace di costituire il centro nevralgico e planimetrico di tutto l’impianto dell’Expo, ma capace di trasformarsi di notte in un enorme area di proiezione dove le immagini della cultura, della storia, della scienza, della fantasia animano il cielo sopra gli spettatori creando suggestioni uniche capaci di conquistare e ammaliare chiunque si trovi sotto questa volta celeste digitale.

Come ogni progetto, anche quello dell’Expo 2020 di Dubai, è stato concepito per proseguire oltre il periodo dell’esposizione. Quest’area, infatti, verrà denominata Dubai District 2020 e negli obiettivi degli organizzatori sarà il luogo ideale dove far incontrare pensatori, creatori e innovatori, progettisti del nostro futuro. Un luogo, quindi, per collegare, creare e innovare.

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Ott 152021
 

Smart city è un concetto che va sempre più diffondendosi nel gergo comune e significa città intelligente, ossia una città concepita in maniera diversa, rispettosa dell’ambiente, della persona, inclusiva, totalmente digitale.
Molti sono i progetti di città di questo tipo, già presenti come la incredibile Dubai negli Emirati Arabi o in via di sviluppo in varie parti del mondo, come Lusail City in Qatar o Neom City in Arabia Saudita di cui abbiamo già parlato, o come la città del futuro inaugurata ad Higashi-Fuji, in Giappone nella città di Susono (prefettura di Shizuoka) da Toyota il 27 febbraio di quest’anno chiamata Woven City.

Sulla scia di questa grandi idee utopiche è nato il progetto di un’altra città super moderna il cui nome dovrebbe essere Telosa, nome che ti arriva dal greco telo s’utilizzato da Aristotele il cui significato è fine obiettivo scopo. L’idea è nata a un miliardario americano Marc Lore, chi ha deciso di investire buona parte del suo patrimonio economico nella costruzione di una innovativa metropoli che secondo la sua visione dovrebbe stabilire uno standard di vita urbana diventando modello per le generazioni future.

La città, progettata da un gruppo di architetti danesi, prende ispirazione da altre grandi metropoli dalle quali intende raccogliere gli aspetti migliori; da New York sempre negli Stati Uniti la vivacità e la grande vitalità, da Tokyo la pulizia, l’ordine, l’organizzazione ed a Stoccolma, la sostenibilità. Il neologismo adottato nella progettazione di questa città è la parola equitismo, il cui significato dovrebbe rappresentare un sistema economico in cui gli abitanti diventano parte integrante della città in cui vivono. Questo significa che se migliora la città, migliorano anche le condizioni di vita dei suoi abitanti e che se i suoi abitanti migliorano la qualità della città ne riceveranno un beneficio anch’essi.


Non è ancora stato stabilito quale sarà il luogo dove verrà edificata la prima pietra anche se alcuni degli Stati americani come Nevada, Arizona, Texas o la regione degli Appalachi, probabilmente potranno essere le aree più papabili. Il progetto prevede un’estensione di circa 600 km² capaci di ospitare fino a 5 milioni di abitanti nel 2060 con una densità abitativa non eccessivamente elevata e con l’avvio dell’urbanizzazione intorno al 2030.

Ovviamente, come ogni sogno utopico, anche quello di questo miliardario americano che sta nel frattempo cercando altri finanziatori, potrebbe finire in un nulla di fatto perché ovviamente questo mega progetto si basa sempre sulla disponibilità economica di fiumi di denaro. L’idea è sicuramente innovativa, e sicuramente ardita per cui non ci resta altro che attendere qualche altro anno per verificare se dalla fantasia e dai sogni di un individuo facoltoso questa possa diventare realtà ed assistere, tutto il mondo, alla cerimonia di inaugurazione di questo prestigioso progetto.

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Mar 212021
 

Che i grattacieli si sviluppano in verticale, lo sappiamo tutti. È proprio una loro caratteristica quella di sfidare le leggi di gravità correndo alti verso il cielo. Ma c’è un luogo nel mondo dove sovvertire le leggi dell’ingegneria e della fisica è ormai la norma; sono gli Emirati Arabi Uniti, diventati patria dell’architettura d’avanguardia e dell’ingegneria estrema. Si chiamerà the Link, il primo grattacielo orizzontale, sospeso a 100 metri di altezza tra il 23º e 25º piano delle due gigantesche torri del complesso One Za’abeel. Si tratta dell’ennesimo progetto estremo che cambia lo skyline di una città in continua evoluzione quale Dubai.

Costruite nel quartiere Za’abeel situato tra la città antica e il nuovo quartiere degli affari, questo complesso di grattacieli diventerà una nuova icona per la città, già ricca di esempi architettonici estremi come il grattacielo più alto del mondo il Burj Khalifa, l’unico albergo a sette stelle il Burj Al Arab, e presto anche la ruota panoramica più grande del mondo Ain Dubai.

La torre più alta, 304 metri, ingloberà nei sui 67 piani uffici, un resort-hotel e appartamenti di lusso, mentre in quella più bassa di soli 54 piani alta 241 metri sarà destinata a residenze di lusso da affittare.

The link, invece, l’incredibile grattacielo orizzontale lungo e ben 225 metri, avrà una destinazione a se stante, con ristoranti stellati Michelin, ponti di osservazioni a 360° sulla città, una piscina a sfioro panoramica sospesa sopra il ristorante che avrà il soffitto in vetro.

Anche l’hotel che avrà la grande firma One&Only proprietaria dell’iconico Atlantis the Palm, avrà la caratteristica unica di diventare il primo resort urbano del pianeta. Infatti, le suite potranno essere personalizzate e trasformate in qualsiasi cosa, da una sala giochi per bambini a studio d’arte o a qualunque altro spazio su scelta dell’ospite. Il resort consentirà anche di conservare le proprie cose fino al soggiorno successivo per gli ospiti abituali. Saranno presenti anche studi yoga, uffici privati, night club, palestre e spazi per eventi.

Ma non finisce qui, infatti questo grattacielo incorpora le migliori tecnologie di automazione e efficienza energetica tant’è che è stato premiato dal Construction Innovation Awards come miglior progetto innovativo dell’anno.

Progettato dallo studio di architettura giapponese Nikken Sekkei, il complesso dovrebbe essere terminato entro l’anno in corso nella location strategica tra il centro finanziario internazionale e l’aeroporto Al Maktum. Esteso su una superficie totale di 470.000 m² il complesso avrà sette piani interrati scendendo ad una profondità di ben 38,5 metri fissando un nuovo record con il piano interrato più profondo del Medioriente, in modo da ottimizzare l’efficienza fuori terra. 

L’edificio passerà sopra la superstrada e the Link ingloberà una piscina sul tetto lunga 140 m con una vista panoramica sul parco Za’abeel e sulla Downtown della città.

The link, la torre orizzontale è stata da poco sollevata al 25º piano delle due torri attraverso un sistema complesso di sistemi idraulici che sono riusciti, in 4 giorni, a portare in posizione l’incredibile struttura dal peso di circa 13.000 t, raddrizzando, una volta fissata, attraverso il suo peso, i nuclei portanti delle due torri verticali, costruite volutamente inclinate così da poter essere poi riportate in asse dalla gigantesca struttura orizzontale.

Il progetto è stato premiato anche con il Big Project Middle Est Award e come miglior progetto ad uso misto. I progettisti mirano ad ottenere per l’edifico la certificazione LEED Gold per la sostenibilità ambientale utilizzando sistemi a pompe di calore acqua-acqua per il riscaldamento dell’edificio e per la produzione di acqua sanitaria ed incorporando le più recenti tecnologie intelligenti per l’automazione per l’illuminazione e la climatizzazione.

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Gen 092021
 

Sembra quasi un’utopia, ma presto, forse quest’anno stesso, sorgerà in Norvegia, l’hotel Svart con vista sui ghiacciai dell’Artico. Frutto dell’ingegno degli architetti Snøhetta, questa struttura nasce con l’idea di prolungare la costa dell’Holandsfjord, quasi una piattaforma galleggiante che sporge de estende la superficie terrestre all’interno dei ghiacciai perenni del Circolo Polare Artico.

Questo hotel, fornirà al suo interno tutti i comfort necessari tipici degli hotel di alta categoria, ma porterà con sé i frutti di studi ed analisi condotte dal team di architetti al fine di creare il primo albergo del Circolo Polare Artico ad energia positiva. In pratica gli architetti hanno studiato il modo di convogliare quanta più energia possibile sfruttando il sole della zona in modo che l’hotel, non solo risulti essere autosufficiente, ma in periodo relativamente breve di circa sessant’anni, riuscire a produrre più energia di quanta necessaria per costruirlo azzerando, quindi, il suo impatto sull’ambiente con un’impronta di carbonio molto ridotta.

Gli stessi pannelli fotovoltaici che ricoprono il tetto della struttura, sono stati realizzati con prodotti totalmente riciclabili ottenuti con energia idroelettrica pulita, e le stesse camere d’albergo e i ristoranti sono stati pensati in modo tale che l’energia del sole sia sempre presente al loro interno. Il sistema ad intreccio della struttura proteggerà durante il periodo estivo dall’irraggiamento solare gli spazi interni, mentre consentirà la massima penetrazione della luce e del calore durante il periodo invernale.

Tutto questo è da mettere in relazione al luogo nel quale sorge la struttura, ossia il Circolo Polare Artico dov’è offerto uno skyline assolutamente unico sul ghiacciaio di Svartisen. Le facciate sono state realizzate con materiali in grado di resistere ai climi estremi, creando addirittura delle terrazze con una struttura a nido d’ape capaci di proteggere la struttura e la privacy dei visitatori.

Quando completato, questo spettacolare anello, alzerà l’asticella dell’intrattenimento alberghiero, creando nuove suggestioni e attirando a se turisti e curiosi di ogni parte del mondo attirati dall’idea di passare una vacanza diversa in un luogo normalmente inaccessibile, ma con la consapevolezza di partecipare ad un progetto per il bene del Pianeta creando le basi per un nuovo concetto di architettura di svago che possa essere non soltanto svago, ma anche utile.

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Nov 072020
 

Uno dei problemi che affliggono il nostro pianeta, è l’inquinamento atmosferico dovuto all’emissione di gas serra, anidride carbonica, particolati e altre sostanze nocive. Immediatamente ci vengono in mente le grandi industrie pesanti, il traffico urbano o le emissioni domestiche. Esiste, però, un altra grande fonte di inquinamento, meno evidente ma purtroppo sempre importante, le grandi navi oceaniche. Dotate di potenti motori diesel, sono tra i maggiori mezzi inquinanti in circolazione sul pianeta.
Ma una soluzione pare essere alle porte; infatti, un nuovo combustibile che apre nuovi scenari e soprattutto strizza l’occhio all’ambiente e si propone come una soluzione molto più sostenibile rispetto a quelle in uso oggi. Si tratta dell’LNG.
Ma che cos’è l’LNG? Si tratta di un acronimo delle parole inglesi liquefied natural gas ossia gas naturale liquefatto e si ottiene dopo la depurazione del gas naturale estratto dai pozzi. Infatti, al momento in cui viene prelevato dalla natura, il gas è una miscela di idrocarburi composta da metano, etano, propano, acqua, anidride carbonica e azoto per cui deve essere sottoposto ad una operazione di purificazione dagli inquinanti ed essere trasportato ai luoghi di impiego. Di norma, il trasporto avviene attraverso delle condutture chiamata gasdotti, ma quando la distanza è eccessiva, questo avviene attraverso l’impiego di speciali navi chiamate metaniere.

Per consentire un trasporto agevole, il gas viene sottoposto a un’operazione di liquefazione a temperature molto basse circa 160° sotto lo zero. In questo modo il suo volume si riduce di circa 600 essendo così trasportabile in grandi quantità.

Oltre che per l’uso domestico o per la produzione di energia, la scienza sta studiando di impiegare questo tipo di idrocarburo in motori di nuova concezione da implementare sulle grandi navi in via di costruzione in modo da sostituire gli inquinanti motori diesel di quelle attuali.

Questo gas consente di rispettare tutti i rigidi parametri antinquinamento previsti dalle normative, e inoltre, grazie al raffreddamento, la riduzione del suo volume di circa 600 volte lo rende facilmente trasportabile e stoccabile. Pensate che questa miscela gassosa trasformata in sostanza liquida, presenta dei vantaggi ambientali enormi, infatti non emette anidride solforosa, riduce del 25% l’anidride carbonica, taglia dell’85% le emissioni di ossidi di azoto e addirittura del 95% quelle di particolato. I serbatoi di queste nuove grandi navi da crociera potranno essere molto più piccoli e consentire la navigazione senza rifornimento per addirittura 14 giorni consecutivi.

Ad oggi sono state ordinate 118 navi alimentate a LNG, raddoppiando il numero delle navi con questo tipo di alimentazione dal 2014 ad oggi. Alla convention Seatrade Global 2016 di Fort Lauderdale, un dirigente di Wartsila, principale costruttore di motori per navi da crociera, ha dichiarato che, entro il 2025, l’80% delle navi da crociera saranno alimentate a LNG.

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Set 282019
 

Si parla sempre più di mobilità, di sostenibilità, di rispetto dell’ambiente e anche le nazioni stanno agendo in questa direzione, soprattutto la Comunità Europea con una serie di interventi volti a limitare al massimo e nel modo più rapido possibile, fenomeni inquinanti.

Diverse sono le tecnologie in ballo per poter sostituire il motore endotermico a benzina o gasolio per intenderci. Ma quale tecnologia si affermerà sul mercato e quando questo cambiamento potrà realmente avvenire?

Le tecnologie in gara per sostituire il motore endotermico, sono due: quelle che utilizzano batterie elettriche e quelle che utilizzano celle a idrogeno. Ma riuscire a capire, qual è la migliore tra le due è piuttosto complesso e in ogni caso, questo, prevede analisi di lungo periodo, cioè proiettate nel tempo quando saranno disponibili non solo un numero sufficiente di autovetture in circolazione, ma anche sistemi di ricarica e rifornimento sufficienti a soddisfare la richiesta.

Gli analisti della società Horváth&Partners hanno tentato di rispondere a questa domanda attraverso la pubblicazione di uno studio intitolato “Automotive Industry 2035 Forecasts for the Future” nel quale si ipotizzano differenti scenari che potrebbero verificarsi nei prossimi anni in base ai dati raccolti che mostrano come l’industria dell’automobile si sta muovendo.

Nello studio, ciò che emerge è che esisteranno due differenti fasi temporali una che durerà fino al 2023 al massimo 2025, catalizzata dagli sforzi dei costruttori per realizzare autovetture a emissioni zero e rispettose dei rigidissimi standard di sicurezza e sostenibilità che, faranno lievitare evidentemente i costi. Una seconda fase, che si concluderà intorno al 2035 in cui le auto di nuova generazione sostituiranno quelle vecchie con motori endotermici per due motivi. Il primo è che queste ultime diverranno più care di quelle elettriche a causa dell’introduzione degli standard Euro7 e della tassazione della CO2 con incremento del costo dei combustibili fossili e dall’altro il progresso della tecnologia che renderà il prezzo delle macchine di nuova generazione molto più basso e competitivo.

Schema auto a motore elettrico

Un altro dei fattori che favoriranno lo sviluppo e la diffusione di queste autovetture, sono i costi in meno che ciascuno di noi dovrà affrontare non soltanto dal punto di vista del carburante la cui differenza è sensibile visto che si calcola un risparmio attuale tra i 40o e i 600 euro di carburante/anno, ma anche il risparmio di manutenzione perché questo tipo di autovettura non ha bisogno di sostituzioni di olii e filtri per cui è soggetta a minori interventi manutentivi.

Schema auto a celle di combustibile

I limiti all’attuale diffusione di queste auto rispetto a quelle attualmente in circolazione è dovuta ad una serie di fattori concatenati. La durata delle batterie, la mancanza di un numero sufficiente di colonnine di ricarica, i tempi di ricarica delle stesse. Inoltre la produzione dell’elettricità di queste auto, oggi, non si può dire assolutamente verde, ma essendo prodotta anche da fonti non rinnovabili è anch’essa fonte di inquinamento. Lo studio ha messo in evidenza che, un’auto elettrica oggi produce meno CO2 di un’auto endotermica solo dopo aver percorso 100.000 km, ma anche questo dato è soggetto a cambiare rapidamente nei prossimi anni.

Lo studio, infine, cerca di analizzare i dati per capire quale, tra le due tecnologie, è la migliore cioè quella che probabilmente avrà maggiore diffusione nell’immediato futuro. Le auto a batteria elettrica hanno una maggiore efficienza globale tra il 70 e l’80%, mentre quelle a idrogeno tra il 25 il 35%. Questo è dovuto ai costi di produzione e trasformazione, nonché nel trasporto dell’energia dalla fonte alle batterie. Si conclude che i vantaggi della cella combustibile vengono dall’autonomia e dalla velocità di rifornimento, ma sono meno efficienti e più costose quindi attualmente per percorrere circa 100 km di strada servono tra i 9 e i 12 euro per un’auto a celle e tra i 2 e i 7 euro per una elettrica. Tutto ovviamente potrà essere cambiato o sovvertito se nuove tecnologie e nuove scoperte modificheranno il panorama attuale da qui al prossimo decennio.

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Feb 202019
 

L’inquinamento e l’uso non oculato delle risorse sta causando fenomeni sempre più estremi per cui sentiamo parlare e vediamo sui TG di inondazioni, terremoti, violenti temporali che flagellano il pianeta. Inoltre, l’altissimo inquinamento dovuto alle sostanze utilizzate e riversate nell’ambiente, una per tutti la plastica, sta rendendo le coscienze sempre più attente al problema e sempre più spesso ci imbattiamo in proposte per rendere eco-compatibile il nostro sistema di vita.

Nasce da questi presupposti il “Resilient Homes Design Challenge” lanciato dalla Word Bank per trovare delle soluzioni in grado di arginare i devastanti effetti del cambiamento climatico.

Una delle 9 proposte vincenti è il progetto realizzato da Laura Munoz Tascon, una studentessa colombiana che, per il Politecnico di Torino, ha realizzato la Core House, il progetto di una casa auto-costruibile e auto-sostenibile, dotata di un sistema di galleggianti fatto di fusti di plastica riciclata che le consentono, in caso di inondazione, di sollevarsi fino a 1,5 m, quindi, di galleggiare letteralmente sull’acqua. La casa, inoltre, si presenta dal punto di vista estetico molto piacevole perché realizzata in canne di bambù e con dei sistemi di parasole che possono chiudersi per proteggere le aperture in caso di forte vento.

Il team del politecnico di Torino tra l’altro è l’unico, tra i nove premiati, non composto da professionisti, bensì da accademici. Le proposte pervenute sono state più di 300 suddivise in tre scenari diversi: il clima caldo umido, gli ambienti sottoposti a frequenti esondazioni o inondazioni, e lo scenario freddo dell’Himalaya con frequenti terremoti e frane.

La Word Bank e le Nazioni Unite hanno così proposto questo concorso con l’intento di promuovere la progettazione di piccole case economiche e sostenibili che, potessero essere costruite in zone colpite da calamità ad un costo inferiore di 10.000 dollari. Il team del politecnico di Torino, facente parte laboratorio interdisciplinare “Design within the limits of scarcity“, ha così preso parte alla sfida, un gruppo composto da 48 studenti di tutto il mondo iscritti al Politecnico o in Italia per l’Erasmus, coordinati da un nutrito gruppo di docenti dell’Università. Hanno prima sviluppato alternative di progetto per poi formare tre diversi team ciascuno per uno dei diversi scenari proposti dal concorso. Uno dei tre gruppi, come detto, è entrato nel novero dei vincitori.

I progetti vincenti, saranno invitati per un’esposizione nella sede centrale a Washington della Word Bank e in altre sedi internazionali e saranno finanziati per poter essere realizzati e sperimentati in ambiti reali dove la Banca Mondiale interviene in caso di calamità naturale.

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Feb 062019
 

A volte le idee migliori vengono per caso, a volte sono provocate da azioni o fatti reali, altre vengono dalla fantasia dei bambini. È questo il caso di Haaziq Kazi un bambino indiano di appena 12 anni che ha ideato una superbarca smart capace, nella sua visione, di ripulire il mare dalle tonnellate di plastica che vi finiscono per mano dell’uomo. Un progetto visionario, fantasioso ma capace di sensibilizzare tutti su un problema grave che riguarda l’intero pianeta.

Il bambino lavora a questo progetto già da quando aveva nove anni e la sua nave di nome Ervis è ormai definita in ogni elemento. Dotata di un sistema di dischi, pompe idrauliche e filtri perfettamente disegnati, capaci di risucchiare tutta la plastica dagli oceani ma non soltanto. E’ anche capace di separare i rifiuti raccolti e distinguerli per caratteristiche e pericolosità.

Ervis è lunga 40 metri, larga 12 e alta 25 e dovrebbe avere una stazza orientativa di 600 tonnellate e dovrebbe essere capace di muoversi anche sui fiumi. Un progetto geniale, originale tanto da esser diventato fonte di ispirazione per molti ed esser valsa la ribalta al giovane indiano, invitato a  convegni e conferenze sui problemi degli oceani e dell’inquinamento.

Haaziq punta sempre il dito sulla tempistica, ricordando come sia necessario intervenire al più presto per salvare il mare. Il giovane indiano sta cercando uno sponsor che possa trasformare il suo progetto in una barca reale e chissà, se nel suo percorso, il giovane inventore riuscirà a coronare il suo sogno di fanciullo.

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Ago 302017
 

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E’ un progetto avveniristico, fantastico e visionario, ma il suo creatore Marco Attisani, un italiano alla guida di un team di 35 ingegneri ci crede profondamente al punto di essere sicuro di passare alla storia. Ma cos’è Walty? E cosa c’entrano acqua, elettricità e internet?

Tutto nasce dalle considerazioni fatte dalla World Health Organization che afferma come nel prossimo futuro circa un miliardo di persone nel mondo non avranno accesso a fonti di acqua potabile e 33 nazioni dovranno fare i conti con stress idrico definito di livello estremamente alto.

Inoltre, due miliardi di persone non avranno accesso all’elettricità e peggio ancora 5 miliardi saranno tagliati completamente fuori dalla connessione alla rete internet.

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La World Health Organization ha inoltre emesso altri comunicati in merito alle necessità mondiali nel prossimo futuro con particolare riferimento ai beni primari. Il 70% della superficie terrestre è vero, è ricoperto di acqua, ma di questa ben il 97% è salata, quindi non potabile. Del restante 3%, il 2% è congelata nei ghiacciai ai poli e solo il restante 1% è dolce, quindi, potabile. Ma la cosa drammatica è che di questa residuale percentuale, necessaria a sfamare il mondo, circa il 70% subisce delle contaminazioni varie che la rendono pericolosa per la salute umana provocando nel mondo ogni anno la morte di migliaia di persone.

Gran parte della popolazione non ha accesso all’elettricità attraverso fonti pulite finendo per utilizzare legna, carbone e residui da colture che emettono sostanze nocive nell’atmosfera provocando altro inquinamento.

Infine, ci informa che la mancanza di connessione alla rete internet, significa per chi ne è sprovvisto, la mancanza di accesso al futuro.

Walty nasce da tutto questo. E’ un sistema in grado di purificare l’acqua da qualunque inquinante e nel far ciò, questo sistema, riesce a produrre elettricità e fornire connessione internet in quei luoghi ove questi beni non sono disponibili come nei paesi del terzo mondo.

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Watly, è una lunga macchina, circa 35 metri che pesa qualcosa come 10 tonnellate. E’ modulare, nel senso che differenti elementi possono essere collegati tra di loro formando una rete. Il costo è elevato, ma i risultati prodigiosi; si parla di 2 o 3 milioni di euro a seconda la configurazione scelta. Per produrla sono necessari circa nove mesi ma solo 5 giorni per installarla.

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Watly sfrutta un principio fisico chiamato distillazione a compressione di vapore, considerata attualmente come una delle più efficaci tecniche per la purificazione e desalinizzazione delle acque. Questo modulo, si alimenta ad energia solare tramite pannelli fotovoltaici, non richiede carburanti di alcun genere e riesce efficacemente a purificare l’acqua da qualunque tipo di contaminazione sia fisica, che chimica che batteriologica. Desalinizza l’acqua oceanica, elimina tutti i batteri patogeni e i microorganismi in essa presenti, parassiti, funghi, rimuove sostanze inorganiche e veleni come l’arsenico, piombo, mercurio, benzene, cloro ed altre sostanze ritenute le principali responsabili del suo inquinamento. Riesce anche purificare l’acqua con presenza di radioattività. L’acqua prodotta è acqua distillata debolmente mineralizzata, le cui proprietà possono essere modificate in base alle esigenze del paese di installazione.

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Watly riesce a purificare circa 10.000 litri di acqua al giorno generando come effetto di questo processo, circa 100 chilowatt di elettricità nello stesso tempo. Realizza in questo modo una sorta di batteria off-grid che può immettere sulla rete tutta l’energia prodotta; un insieme di questi moduli può consentire la realizzazione di una vera e propria centrale elettrica (un network) da utilizzare in quei luoghi dove non è possibile far giungere la normale rete di distribuzione.

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L’idea di Watly è venuta a Marco Attisani sulla spinta dei precedenti fallimenti. Aveva creato diverse start-up con l’idea di realizzare qualcosa di rivoluzionario, ma i progetti si erano arenati senza portare a grandi risultati. Allora, egli, ha rivolto le sue attenzioni ai sistemi per la depurazione delle acque marine senza l’uso di combustibili fossili e nel 2013 è nata la prima versione di Watly.

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Prima versione di Watly

Resosi conto che non esisteva un sistema simile al mondo ha contattato un ingegnere termodinamico su amico, Stefano Buiani, è hanno dato un’accelerazione a questo innovativo progetto.

La bontà del progetto, è stata subito comprovata dai  riconoscimenti raccolti, come il Premio Marzotto e il Search On Media Group al Web Marketing Festival di Rimini. Inoltre, sono stati stanziati fondi per 2 milioni di euro da Horizon 2020 e il progetto Watly è stato inserito nel programma dell’European Space Agency.

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https://vimeo.com/128782376

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Dic 102011
 

Architettura ecologica significa molte cose e per questo rischia di significare troppo poco. Una casa fatta con materiali naturali, che non danneggiano chi ci abita, che non sono pericolosi per chi li produce, per chi li mette in opera e per chi li deve smontare e abbandonare, è una casa ecologica. Fondamentale è anche l’eliminazione o la riduzione ai minimi termini delle fonti di inquinamento interno, che modificano la qualità dell’aria, producono campi elettromagnetici artificiali o generano emissioni dannose. Le ecocase, che saranno certificate da uno specifico marchio di qualità, dovranno soddisfare determinati standard in quattro campi:

  1. uso di materiali naturali;
  2. risparmio energetico;
  3. isolamento acustico;
  4. cura per l’ambiente esterno.

Alcuni dei principi progettuali alla base della bioarchitettura sono:

  • ottimizzare il rapporto tra l’edificio ed il contesto nel quale viene inserito, ossia salvaguardare l’ecosistema;
  • impiegare le risorse naturali (acqua, vegetazione, clima).

Si definisce Bioarchitettura l’insieme delle discipline che attuano e presuppongono un atteggiamento ecologicamente corretto nei confronti dell’ecosistema antropico-ambientale. In una visione caratterizzata dalla più ampia interdisciplinarità e da un utilizzo razionale e sostenibile delle risorse, la bioarchitettura tende alla conciliazione ed integrazione delle attività e dei comportamenti umani con le preesistenze ambientali e i fenomeni naturali, al fine di realizzare un miglioramento della qualità della vita attuale e futura. Propone una pratica architettonica rispettosa dei principi della sostenibilità con l’obiettivo di instaurare un rapporto equilibrato tra l’ambiente e il costruito, soddisfacendo i bisogni delle attuali generazioni senza compromettere, con il consumo indiscriminato delle risorse, quello delle generazioni future.

Affinché tali principi possano integrarsi coerentemente è necessaria una progettazione che si avvalga del contributo di numerosi specialisti. L’industria delle costruzioni ha un forte impatto ambientale a causa dell’altissimo consumo energetico, delle sue emissioni nell’atmosfera, dell’inarrestabile consumo del territorio e del diffuso utilizzo di materiali di origine petrolchimica che determinano gravi problemi di inquinamento. Come altri paesi europei, l’Italia possiede, un patrimonio architettonico molto interessante e soprattutto variegato. Dalla montagna, alla collina, al mare e nelle varie latitudini, le differenze nei metodi costruttivi, nelle forme e nei materiali sono numerosissimi. La moltitudine delle soluzioni costruttive ed il linguaggio architettonico che ne è derivato, non sono altro che differenti soluzioni, le più efficienti, che l’uomo ha saputo trovare per soddisfare un bisogno fondamentale: creare ambienti confortevoli per difendersi dalle condizioni climatiche estreme ed avverse.

La bioarchitettura tende alla conciliazione ed integrazione delle attività e dei comportamenti umani con le preesistenze ambientali ed i fenomeni naturali, al fine di realizzare un miglioramento della qualità della vita attuale e futura. I problemi che si pongono gli architetti, sempre più attenti a ogni aspetto formale, tecnico e metodologico della bioarchitettura, sono quelli di progettare edifici in cui l’intero sistema edificato rappresenti la soluzione formale e tecnica al problema climatico locale; impiegare alcune risorse naturali come l’acqua, la luce, il suono, la vegetazione; e infine realizzare architetture “reattive”, capaci cioè di adeguarsi nel tempo alle condizioni esterne. I nuovi esempi di bioarchitettura non si limitano allo studio delle prestazioni del sistema tecnologico, alla ricerca di soluzioni climaticamente compatibili ed energicamente non disperdenti, ma comprendono anche l’indagine conoscitiva di tutto il contesto ambientale sia interno che esterno, e inseriscono come variabili di progetto anche le componenti vitali dell’ecosistema preesistente come l’acqua e la vegetazione.

L’architettura rappresenta da sempre sperimentazione e ricerca e anche oggi non si sottrae al suo compito. In alcuni paesi del mondo più che in altri, grazie anche alla situazione economica, oggi si sperimenta tantissimo, creando i nuovi punti di riferimento nel campo delle costruzioni: sto parlando di Dubai, Abu Dhabi, Manama City, Kuait City e per alcuni versi anche New York. E’ in queste metropoli che oggi vive la nuova architettura e dove possiamo vedere e studiare tutte le nuove soluzioni per rendere l’abitazione migliore. Vi invito pertanto a leggere il prossimo articolo:

LE BIO-ARCHITETTURE

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