Nov 222021
 

Un consorzio  costituito da 34 aziende europee, capitanata dalla tedesca Bosch GmbH, ha iniziato una intensa collaborazione al fine di rendere reale il progetto Transform. Di cosa si tratta?

Transform, è l’acronimo delle parole Trusted European SiC Value Chain for a greener Economy, ed è un progetto finanziato con fondi pubblici europei, con lo scopo di realizzare una catena di produttori e fornitori per la promettente tecnologia SIC, ovvero i semiconduttori al carburo di silicio, componenti elettronici di ultima generazione, capaci di garantire un uso più efficiente dell’elettricità disponibile. Un altro modo, insomma, per contribuire a quel progetto di efficienza energetica che ha lo scopo di salvaguardare l’ambiente.

Il progetto, mira ad assicurare all’Europa un ruolo di rilievo nei settori delle energie rinnovabili, dell’agricoltura 4.0 e della mobilità sostenibile e si protrarrà fino al 2024.

L’uso del carburo di silicio, mira a consentire la creazione di nuovi semiconduttori per le applicazioni dell’elettronica di potenza, quella cioè destinata al controllo dei processi di commutazione dei sistemi e al fine di ridurre al minimo le perdite di potenza. Fino ad oggi ci si era affidati a semiconduttori di silicio purissimo, ma il carburo di silicio, offre numerosi vantaggi; vediamo quali.

Partiamo dalla conduttività, decisamente superiore nei chip di carburo di silicio, consentendo così frequenze di commutazione più elevate e meno dispersione di energia sotto forma di calore, quindi maggiore efficienza energetica.

Un altro vantaggio, è la maggiore intensità di campo elettrico rispetto al silicio, permettendo in questo modo, di realizzare componenti più piccoli. Secondo calcoli effettuati da esperti, pare che il risparmio energetico possa arrivare fino al 30% in base al tipo di applicazione cui sono destinati questi nuovi semiconduttori.

Il progetto Transform, risulta così centrale negli interessi europei, perché la domanda di componenti in carburo di silicio (SIC) è destinata a crescere rapidamente nei prossimi anni, per cui una filiera di questa tecnologia, porrebbe l’Europa al centro di un processo di innovazione e produzione a livello mondiale. Qualche applicazione per fare un esempio? Stazioni di ricarica per veicoli elettrici, infrastrutture per la fornitura di energia, sistemi di propulsione dei veicoli elettrici. Uno studio ha evidenziato come questo segmento di mercato, crescerà del 30% annuo fino al 2025 e fino ad oltre 2,5 miliardi di dollari.

Gran parte degli stati dell’Unione sono coinvolti nel consorzio di ricerca e sviluppo, con un fondo europeo di circa 90 milioni di euro. Tra le aziende partecipanti possiamo indicare la già citata Bosch, l’italo-francese STMicroelectronics, l’inglese Fraunhofer IISB, l’università di Siviglia e molte altre.

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Ago 032021
 

Uno dei principali obiettivi a livello internazionale, è quello di riuscire ad eliminare o a ridurre sensibilmente l’utilizzo di materie plastiche, grande fonte di inquinamento dei mari e delle terre e anche a causa di un’impronta ecologica piuttosto negativa dal punto di vista delle emissioni nocive sia per la sua produzione che per il suo smaltimento.

Questo è diventato l’obiettivo della maggior parte delle multinazionali le quali sono sempre più impegnate nella realizzazione di prodotti e soluzioni alternative all’uso delle materie plastiche. Una delle più grandi aziende a livello mondiale la Procter and Gambler, in collaborazione con Paboco (The Paper Bottle Company) ha avviato la produzione della prima bottiglia che utilizza materiali riciclabili e bio-compatibili riducendo, così, drasticamente l’utilizzo della plastica. La società, multinazionale nota per marchi quali Gilet, Panten, Oral-B, ha avviato un progetto pilota che si svolgerà in Europa nel 2022. Lo scopo è quello di estendere l’utilizzo di confezioni di carta realizzate in modo da integrarle sempre di più nel portfolio dei propri prodotti.

Il progetto, sviluppato dalla Fabric & Home Care, una delle società facenti parte del gruppo internazionale, riferisce di essere fortemente impegnata nella riduzione della plastica nelle sue confezioni. Il progetto ambizioso è quello di arrivare nel 2030 a ridurre l’uso della plastica vergine del 50%, ma già prima ridurre l’utilizzo della plastica del 30% entro il 2025 e realizzare packaging 100% riciclabili già entro il 2022.

Il progetto, promette di diventare realtà e di avere un grande successo anche perché patrocinato da altri giganti del settore come la the Coca-Cola company, CarlsBerg Group, l’Oréal e tante altre impegnati tutti nell’obiettivo comune di sviluppare la prima bottiglia al mondo in carta riciclabile di origine completamente biologica.

Il progetto pilota ha già prodotto il primo di questi nuovi contenitori per uno dei marchi del gruppo, Lenor, dove la società ha dovuto affrontare i grossi problemi legati all’adozione di un packaging in grado di conservare liquidi ma fatto di carta.

Questo prototipo, rappresenta il primo passo verso il packaging bio-based. Si tratta di un contenitore, in carta certificata FSC, quindi di origine sostenibile che presenta però una sottile barriera, attualmente in plastica PET riciclata al suo interno, ma l’obiettivo è quello di realizzare una bottiglia che possa integrare questa barriera direttamente nella fodera di plastica creando così una bottiglia 100% di origine biologica e completamente riciclabile.

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Mag 152021
 

Le azioni effettuate con l’intento di preservare l’ambiente e di creare economia, passano anche attraverso il richiuso e il riciclo di buona parte dei rifiuti inorganici altamente inquinanti che la nostra società produce su scala industriale.

Vi siete mai chiesti, appunto, che fine facciano le batterie dei nostri amati cellulari quando giungono a fine del loro ciclo vitale? Immaginate quanti milioni di pezzi ogni anno finiscono in discarica, elementi che contengono al loro interno sostanze altamente inquinanti e metalli pesanti che, difficilmente possono essere smaltite con normali processi e soprattutto capaci di creare economie circolari che risultino efficienti e positive sia dal punto di vista ambientale che economico.

In Italia, una azienda di Chiampo in provincia di Vicenza, chiamata Spirit Srl acquisisce da anni le batterie esaurite per effettuarne un recupero e un riciclo sostenibile in particolare per quelle agli ioni di litio e nichel metallo idruro NiMh.

Il processo brevettato da questa azienda, è frutto di anni di studio ed è, ovviamente, coperto da segreto industriale. Prevede il riciclo delle batterie provenienti dagli smartphone, tablet, ma anche bici e auto elettriche, che devono inizialmente essere scaricate, aperte e a questo punto suddivise nei loro vari componenti. Da un lato avremo le polveri catodiche composte da ossidi di metalli quali cobalto, nichel ed altri utilizzati, poi, nel settore manufatturiero per realizzare gli smalti utilizzati nella colorazione delle piastrelle. Questo processo permette di recuperare circa l’80% della massa di ciascuna batteria e di ricavarne anche polveri di metalli come rame e alluminio. I benefici sono enormi perché da un lato si riutilizzano batterie che altrimenti andrebbero a finire in discarica con grande inquinamento per l’ambiente e dall’altro si riducono gli interventi di estrazione nelle miniere per i metalli in esse presenti, soprattutto nei paesi africani quali la Repubblica del Congo.

Attualmente l’impianto è in grado di processare e di recuperare circa 10 tonnellate di batterie gli ioni di litio in un mese ma si punta a implementare il processo e la produzione fino ad arrivare a 40 tonnellate al mese.

L’azienda, grazie a Fòrema, che è l’ente di formazione di Assindustria di Padova, è riuscita a ottenere le autorizzazioni presso l’ECHA (Agenzia Europea per le Sostanze Chimiche) necessarie per immettere sul mercato europeo i nuovi prodotti ottenuti da questo processo di recupero.

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Gen 172021
 

La tecnologia fotovoltaica, ossia quella utilizzata nei pannelli che disponiamo sui tetti delle nostre case, capaci di raccogliere la luce del sole trasformarla in elettricità è soltanto all’inizio e assistiamo continuamente nuove scoperte che ne migliorano le caratteristiche, la qualità e la durata. Uno dei problemi maggiori dei pannelli fotovoltaici e che nella conversione della luce in energia elettrica essi riescono, nelle condizioni migliori, a convertire al massimo i due terzi dei fotoni che li colpiscono.

Partiamo dal ricordare velocemente come funziona la tecnologia fotovoltaica; si tratta di quel fenomeno fisico per cui un materiale semiconduttore trattato con differenti prodotti sulle sue due superfici, diventa un diodo, ossia un componente elettrico in grado di far fluire la corrente solo in una direzione creando così la possibilità di assemblare diverse celle in sequenza per formare una stringa e poi pannelli sempre più grandi, sommando in questo modo le cariche prodotte come fanno le pile in sequenza. Purtroppo questi pannelli sono in grado di convertire soltanto alcuni fotoni, quelli ad alta energia, mentre altri, invece, vengono completamente dispersi o non catturati perdendo una grande quantità di energia che potrebbe essere sfruttata.

Lo studio condotto dalla Dipartimento di Scienza dei Materiali dell’Università di Milano Bicocca, ha permesso di realizzare nuovi materiali capaci di modificare le proprietà elettroniche di questi pannelli e di ottimizzare il recupero di parte dello spettro solare non utilizzato dai dispositivi fotovoltaici. In pratica, il sole emette radiazioni di diverso colore e quindi con diversa energia che, potrebbero tutti essere raccolti per produrre elettricità e attivare reazioni chimiche, ma sfortunatamente, le tecnologie fotovoltaiche attuali non riescono a realizzare.

I ricercatori dell’Università milanese, hanno progettato un sistema multicomponente in grado di catturare i fotoni sprecati, quelli a bassa energia, e di convertirli in fotoni ad alta energia così da poter sfruttare la parte di spettro luminoso che sfugge agli attuali sistemi. Si tratta di nanocristalli a semiconduttore capaci di assorbire la luce, modificati introducendo al loro interno delle impurezze d’oro il cui scopo è quello di funzionare da ponte energetico tra il nano-cristallo e i convertitori, sfruttando dei meccanismi ultra veloci che avvengono in milionesimi di milionesimi di secondo (picosecondo).

È ovvio che questa ricerca, pubblicata sulla rivista Advanced Materials, ed intitolata High Photon Upconversion Efficiency with Hybrid Triplet Sensitizers by Ultrafast Hole-Routing in Electronic-Doped Nanocrystals, potrà portare nell’immediato futuro allo sviluppo di nuovi nano-materiali ibridi in grado di portare enormi miglioramenti anche in altri campi della fotonica e della fotochimica.

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Apr 122020
 
ARGENTO
DATI CONFIGURAZIONE
GALENA ASPETTO

L’Argento, è un metallo lucido di colore bianco; è il miglior conduttore di calore e di elettricità tra tutti i metalli. Il suo simbolo è Ag e il suo numero sulla tavola periodica è 47. Si usa in gioielleria e nell’argenteria.

L’Argento si può trovare sia allo stato puro sia combinato con lo zolfo o il cloro. Giacimenti di argento si trovano in Australia, negli Stati Uniti e in Canada, ma negli ultimi due secoli il Messico è divenuto il maggior produttore mondiale di questo metallo.

Molto spesso la galena contiene minerali preziosi come argento e oro che vengono recuperati attraverso il processo Parker, che utilizza una piccola quantità di zinco, mescolata al piombo fuso, per sciogliere i metalli preziosi.

PROPRIETA’

L’Argento è un materiale duttile e malleabile, poco più duro dell’oro. Possiede una conduttibilità elettrica maggiore rispetto a qualsiasi altro metallo, più del rame che è, però, più diffuso perché meno caro.
L’Argento puro ha un colore bianco, una maggiore riflettanza alla luce visibile e una minore resisteza agli urti. È stabile all’aria pura, nell’acqua, e scurisce quando è esposto all’ozono o all’acido solfidrico.
Fonde a 328 °C, bolle a 1740 °C, ha densità relativa 11,4 e peso atomico 207,20.

LEGHE

Miscelando l’Argento con altri metalli, è possibile realizzare numerose leghe. Le più importanti sono:

  • Argento-Rame
  • Argento-Zinco
  • Argento-Cadmio
  • Argento-Oro
  • Argento-Palladio
  • Argento-Platino
IMPIEGHI

L’Argento viene utilizzato per produrre gioielli, batterie, per saldare e viene utilizzato nella medicina e nell’odontoiatria come anche nella fotografia.

Batterie Argenteria
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Alunno/i autore/i dell’articolo:
AZZURRA PAPALIA
Classe e Anno: Argomento di Riferimento:
Prima D – 2019/20 METALLI
Mar 152020
 

Sentiamo sempre più spesso parlare di cellulari con schermi pieghevoli, abbiamo visto la presentazione di televisori arrotolabili (vedi: FAI CLICK E LA TV NON C’È PIÙ), in una ricerca continua che mira a trasformare gli oggetti tecnologici di uso quotidiano in nuovi oggetti o soluzioni capaci di conquistare il mercato utilizzando nuove tecnologie e nuovi materiali appena scoperti dalla scienza.

Ma oggi, dalla Swinburne University of Technology australiana, forse arriva una grande innovazione che coinvolgerà campi diversi da quelli della tecnologia informatica. Di cosa si tratta? I ricercatori Jay Sanjaya e Behzad Nematollahi hanno realizzato, in laboratorio, una nuova miscela per il calcestruzzo, ottenuta in gran parte materiali di scarto come le ceneri volanti della combustione del carbone prodotte nelle centrali termoelettriche, ma questo di per sé non è una novità perché già ampiamente in uso nella formazione di calcestruzzi più compatti, impermeabili e duraturi. Questa soluzione, come spiegato agli stessi ricercatori, richiede il 36% in meno di energia per la produzione con una riduzione delle emissioni di anidride carbonica del 76% rispetto ai tradizionali composti cementizi creando così un’impronta ambientale notevolmente inferiore. Ma la caratteristica più importante di questo nuovo composto non è tanto il suo impatto ambientale, bensì la sua elasticità. Infatti, mentre i normali cementi quando sottoposti a compressione si spezzano, questa nuova soluzione è in grado di mantenere la sua integrità anche sotto intensi carichi piegandosi elasticamente come farebbe un materiale plastico.

È stato calcolato che questo nuovo materiale è 400 volte più pieghevole rispetto a un normale cemento mantenendo al tempo stesso la caratteristica resistenza. Tutto ciò è possibile perché le fibre inserite nel calcestruzzo impediscono al materiale di rompersi anche quando si formano delle crepe e, quindi anche quando è sotto a forti carichi. Immaginate l’impatto di questo nuovo materiale nel campo dell’edilizia. Il nuovo cemento elastico sarà in grado di consentire alle costruzioni di resistere i terremoti, agli uragani o addirittura alle esplosioni e ai proiettili, perché si deformerà elasticamente senza mai spezzarsi permettendoci così di realizzare nuovi edifici capaci di resistere a tutto ciò che dall’esterno tenta di danneggiarlo o deformarlo. Inoltre, anche la durata stessa del prodotto sarà più lunga perché più difficilmente attaccabile da fenomeni classici quali umidità, acqua, usura del tempo. 

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Feb 102020
 

Molti sono gli elementi che contribuiscono ad inquinare il nostro pianeta creando problemi sia a livello globale che locale. Si è tanto parlato, anche su questo sito, degli effetti che, la plastica e le micro plastiche, ossia materiali non biodegradabili, causano sull’ambiente soprattutto quello marino. Ma non è solo la plastica ad inquinare, parecchi prodotti emettono quantità di CO2 nell’atmosfera capaci di creare effetti disastrosi quali l’effetto serra e l’aumento delle temperature, con conseguenze sui ghiacciai e sulle condizioni climatiche in generale.

Chi contribuisce ad emettere queste emissioni di CO2 è sicuramente il traffico veicolare e gli aeroplani, ma anche le fabbriche, le industrie e altri processi di trasformazione. Pensate che, la realizzazione delle nostre strade, costituite da asfalto, contribuisce ad emettere 27 kg di anidride carbonica per ogni tonnellata prodotta, inoltre l’asfalto trattiene il calore e contribuisce all’innalzamento delle temperature soprattutto nelle aree urbane con ulteriore aggravio delle condizioni già, in generale, compromesse.

L’Olanda è sempre stato un paese all’avanguardia dal punto di vista delle soluzioni green e delle ricerche in ambito ecosostenibile e arriva proprio da una società di questa nazione un brevetto per la realizzazione di un manto stradale realizzato, pensate un po’, in plastica. Sembrerebbe un controsenso, realizzare una strada già di per sé inquinante con materiale anche esso inquinante; ma l’idea di questa società sarebbe quella di realizzarle attraverso il recupero di tonnellate di plastica da macero riciclabile, dando così nuova vita ad un materiale che produrrebbe ulteriore inquinamento.

Quali i vantaggi di questo nuovo sistema che potrebbe sostituire l’asfalto? Secondo le indicazioni dell’azienda queste strade risulterebbero più leggere riducendo così il carico sul terreno e, sarebbero realizzabili in più strati così da permettere l’inserimento al loro interno di tubature e condotte in modo da evitare successivi e ulteriori lavori di smantellamento e ripristino come accade già oggi. Inoltre, la loro natura, ne consentirebbe la produzione direttamente in stabilimento, riducendo così i tempi di costruzione, assemblaggio e abbreviando anche i tempi di percorrenza e di conseguenza l’inquinamento. Non sarà più necessario, in questo modo, realizzare lunghi cantiere ad hoc nelle aree di costruzione, la realizzazione avverrebbe in tempi molto più rapidi, evitando quelle lunghe interruzione che hanno ricadute pesantissime sul traffico veicolare. Pendenze e accorgimenti tecnici arriverebbero già pronti per il montaggio dalla fabbrica, riducendo anche la difficoltà cantieristica. Inoltre, Plastic Road, questo il nome dato dalla società alla loro invenzione,  non presenta controindicazioni per l’installazione in qualunque sito geografico o climatico. Questo nuovo manto stradale può essere utilizzato senza problemi in zone con clima torrido con temperature estreme o nei climi glaciali con temperature bassissime senza problemi di deperimento o danneggiamento.

I presupposti ci sono tutti per la creazione di un prodotto di successo, ma altri studi e approfondimenti vanno sicuramente condotti al fine di evitare nuove e drammatiche conseguenze al nostro già martoriato pianeta.

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Ott 262019
 

L’invenzione della plastica, è stata una delle più grandi scoperte della storia. Come oramai quasi tutti sanno, la plastica deriva dal petrolio, dal quale viene estratto e poi miscelata con altre sostanze per formare infinite miscele di materiali diversi. Purtroppo, però, alcuni tipi di plastica portano con sé una grave conseguenza: non sono biodegradabili. Questo significa che questo materiale se non opportunamente riutilizzato ho riciclato, inquina pesantemente l’ambiente come del resto, stiamo quotidianamente scoprendo attraverso esperienze dirette o i mass-media che ce ne danno notizia.

La plastica derivata dal petrolio esiste da circa cinquant’anni, mentre invece i poliesteri, ossia il gruppo di sostanze a cui essa appartiene, esistono in natura da tempi remoti e costituiscono il rivestimento protettivo di alcune foglie. Alcuni batteri, approfittano da milioni di anni di queste sostanze nutrendosene e riuscendole a decomporre perfettamente. Alcuni scienziati dell’Università di Portsmouth nel Regno Unito, studiando e osservando questo fenomeno, hanno scoperto che alcuni di questi batteri si sono evoluti molto rapidamente e sono oggi in grado di digerire e nutrirsi del polietilene tereftalato (PET), una resina termoplastica, quella con cui vengono realizzate le bottiglie e molti contenitori alimentari che siamo soliti utilizzare tutti i giorni. Questo batterio, chiamato Ideonella sakaiensis, è in grado di digerire e metabolizzare le molecole del PET utilizzando alcuni enzimi compreso lo PETasi scoperto anch’esso grazie all’identificazione della Ideonella sakaiensis. La scoperta, molto recente, è stata pubblicata sulla rivista Science nel 2016 e apre incredibili scenari per il futuro del pianeta in riferimento al riutilizzo e il riciclo della plastica.

Passare dalla fase di sperimentazione e studio a quella di applicazione pratica, non è però semplicissimo. Bisogna infatti considerare che una colonia di batteri riesce a digerire piccoli frammenti di plastica in poche settimane ma i tempi variano ovviamente in base alla grandezza della colonia e alla superficie di plastica da dover smaltire.

La cosa che ha sorpreso gli scienziati, è come questi batteri siano stati in grado di adattarsi e modificare il loro regime alimentare in poco meno di cinquant’anni, ossia il tempo da cui è presente il PET nella nostra quotidianità, considerando che appunto prima di allora questa forma di plastica non esisteva.

Già oggi, buona parte delle materie termoplastiche, compreso il PET, vengono riciclate per ottenere nuovi oggetti e ridurre al tempo stesso la quantità di rifiuti presente nell’ambiente. Il problema è che ad ogni riciclo queste materie perdono alcune delle loro caratteristiche diventando sempre meno idonee ad essere riutilizzate e dovranno necessariamente finire in discarica o essere distrutte in un inceneritore.

Studiando le capacità della Ideonella sakaiensis e della sua capacità di utilizzo della plastica i ricercatori hanno prodotto un modello virtuale in 3D dell’enzima basandosi sulle osservazioni eseguite al microscopio elettronico. In questo modo hanno compreso meglio la sua struttura e sono riusciti ad individuare alcuni punti deboli che possono essere corretti. In questo modo saranno in grado di potenziare gli effetti di questa disgregazione e accelerare i processi di smaltimento. Lo studio ha dimostrato che la PETasi è in grado di riportare i poliesteri al livello originale ossia a come quando sono stati prodotti dal petrolio, quindi di ricreare plastica nuova con caratteristiche integre. E’ chiaro, però, che per arrivare a una produzione sul larga scala saranno necessari anni di studi e di laboratorio perché il problema non è solo quello di disgregare il polietilene tereftalato, bensì quello di farlo in larga scala e in un tempo minore affinché questo processo possa risultare vantaggioso sia economicamente che per l’ambiente.

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Apr 152019
 

Come era prevedibile, passano i giorni e i mesi e cominciano a vedersi i primi risultati, le prime applicazioni concrete del “wonder material“, il grafene. Per la prima volta un gruppo di ricerca della Columbia University, guidato da Young Duck Kim, è riuscito a realizzare una lampadina a base di grafene la cui luce viene generata da un filamento di dimensione mono atomica. Questo significa che è stata progettata e realizzata la più piccola lampadina mai costruita dall’uomo.

Questo studio apre degli incredibili risvolti dal punto di vista dei dispositivi elettronici e di comunicazione. Lo scopo è quello di implementare fonti di luce infinitesimali all’interno di chip in silicio, cioè quelli utilizzati nei processi di computer, che utilizzino la luce anziché l’elettricità per processare le informazioni il che, comporterebbe un notevole incremento nella velocità e nella quantità di dati trattabile nell’unità di tempo.

Si tratta di un lavoro in collaborazione tra l’università americana e due gruppi accademici coreani il Seoul National University e il Korea Research Institute of Standards and Science che, hanno sviluppato questa nuova tecnologia. In pratica si tratta di filamenti di grafene attaccati ad elettrodi metallici, ma la cosa straordinaria è che non sono appoggiati sul chip di silicio, bensì sospesi al suo interno. Questi filamenti mono-atomici di grafene possono scaldarsi fino a 2500°C di temperatura, la metà di quella della superficie del Sole generando così una luce visibile a occhio nudo nonostante le dimensioni praticamente invisibili della fonte.Finora non era stato possibile raggiungere questi risultati perché nessun materiale di questa dimensione era stato in grado di sopportare tali temperature. Il grafene invece non solo alla capacità di resistere a questo elevatissimo calore e di concentrarlo solo nella parte centrale il foglio senza così  toccare gli elettrodi metallici che potrebbero fondere, ma anche di condurre l’elettricità contemporaneamente. Inoltre il fatto che il grafene sia sospeso e non appoggiato sul materiale, migliora di circa 1000 volte l’efficienza.L’altra cosa incredibile, è che la lunghezza d’onda di questa luce può essere variata in base alla posizione in cui è sospeso il foglio di grafene, permettendo così di regolarne anche l’intensità.

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Dic 092018
 

La bio-compatibilità oramai sta pervadendo tutti i settori commerciali, dai trasporti all’industria e sempre più spesso ci vediamo proporre soluzioni più “green” rispetto alle attuali. Sostituire la plastica con materiali meno inquinanti è oramai una priorità a livello mondiale soprattutto nei paesi più sviluppati e l’ultima trovata nel campo della moda ci arriva da Max Gavrilenko, un guru nel campo dell’ottica e delle montature per occhiali.

Si chiamano Ochis Coffee, si tratta di una montatura per occhiali basata su concetti di sostenibilità ed innovazione. La struttura è ricavata da sostanze totalmente biodegradabili, un bio-polimero ottenuto dal caffè, dal lino e dall’olio naturale di soia. Questa sostanza è in grado di decomporsi in un periodo di tempo 100 volte più rapido dei classici occhiali ottenuti in materiale plastico, potendo addirittura diventare fertilizzante per il terreno. La loro biodegradabilità non deve trarre in inganno, perché questi occhiali sono in grado di resistere tranquillamente sia all’acqua che al sudore umano.

Ovviamente ciò che viene utilizzato non è il caffè che noi prendiamo in tazzina o quello con il quale prepariamo la famosa bevanda, bensì i suoi fondi, quindi scarti che, vengono miscelati insieme alla segatura di lino ed a un olio ricavato dalla soia. Questa miscela rende questi occhiali particolarmente piacevoli al tatto oltre a conferirgli il classico aroma di caffè che, in campo fashion, fornisce un ulteriore elemento attrattivo nei riguardi di questo prodotto.

Max Gavrilenko, ha disegnato per la campagna che egli stesso ha avviato su Kickstarter, ben otto modelli differenti di montatura, così da proporre soluzioni fashion diverse e maggiori opzioni di scelta per i futuri clienti.

Queste montature si contraddistinguono per l’estrema leggerezza e la grande resistenza delle quali sono dotati, si pensi che sono stati fatti test di caduta da oltre 3 metri di altezza, e hanno una durata garantita di circa cinque anni. Il bio-polimero rende, inoltre, particolarmente elastici ed adattabili, le montature ai diversi formati di viso.

Il costo previsto al lancio di questi occhiali è compreso tra i 69 e i 120 dollari.

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Dic 052018
 

Ne abbiamo parlato un po’ di tempo fa, quando la società Liquidametal Tecnologies, divenne improvvisamente nota per l’acquisizione delle sue tecnologie da parte del colosso americano dell’informatica Apple Inc (LIQUIDMETAL il METALLO LIQUIDO DI APPLE). A distanza di qualche anno, questa tecnologia inizia ad essere matura per il mercato e per l’elettronica di consumo. La società che ha brevettato il progetto, ha finalmente portato a compimento la realizzazione di apparecchiature specializzate per lavorare questi metalli come si trattasse di polimeri plastici.

Innanzitutto vediamo di capire cos’è un metallo liquido. La definizione potrebbe trarre in inganno perché in realtà anche questi metalli, o meglio leghe metalliche ottenute miscelando zirconio, titanio, rame, nichel e berillio, si trovano allo stato solido in condizioni normali. La definizione liquido, deriva dalla loro struttura molecolare. Infatti, i metalli come molti altri materiali in natura, hanno una struttura cristallina ossia con le molecole disposte secondo uno schema ordinato. Al contrario, quando sono fusi, le molecole si dispongono in maniera casuale, disordinata, esattamente come accade nei polimeri plastici o nel vetro. Ecco perché, vengono anche chiamati metalli amorfi o metalli vetrosi. Si definisce amorfa una struttura casuale, priva di ordine. Ma come facciamo ad ottenere questa struttura disordinata visto che stiamo lavorando con dei metalli che invece hanno una struttura cristallina? Il segreto sta nel processo di produzione: in pratica, si porta il metallo a temperatura di fusione e lo si raffredda molto rapidamente con getti di acqua gelida facendo di subire uno shock termico di 1000°C in pochi minuti. In questo modo si congela la struttura casuale che il metallo possiede in quell’istante, creando un nuovo materiale con struttura molecolare disordinata come se fosse ancora liquido.

Quali i vantaggi di questa tecnologia? Enormi. Questa nuova struttura rende il metallo liquido molto più resistente, si parla del doppio di un buon acciaio, con una durezza superiore a quella del titanio e cosa straordinaria, associa a questa incredibile resistenza una elasticità cinque volte superiore a quella dell’acciaio. Inoltre, questi materiali si contraddistinguono per un peso specifico basso, grande resistenza alla corrosione, ottime capacità di saldatura e possibilità di essere lavorate per stampaggio ad iniezione, cosa assai rara se non impossibile per i normali metalli. Inoltre, questa tecnica da una perfetta finitura superficiale che non richiede ulteriori trattamenti secondari, ottenendo risparmi economici e di tempo.

Questa tecnica è stata messa a punto da Engel, un colosso austriaco nel campo della lavorazione dei metalli, che ha realizzato le infrastrutture e macchinari necessari alla realizzazione di questo processo, notevolmente diverso da quello utilizzato per le materie plastiche. Infatti questo macchinario non ha la classica vite-cilindro come sistema di fusione e iniezione, bensì una camera in cui viene inserito il lingotto che sarà fuso da uno speciale sistema di riscaldamento a induzione in un ambiente senza aria, per impedire la formazione dei cristalli e garantire la produzione di leghe amorfe.

Il vantaggio di questa nuova tecnologia consente l’abbassamento dei costi, trattamento superficiale del metallo particolarmente fine, miglioramento del limite elastico del metallo in allungamento, fase di processo unica, nessun ulteriore trattamento termico atto a migliorare la durezza e la resistenza meccanica, nessuno scarto di processo.

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Ott 102018
 

Se pensiamo alla NASA, ossia l’ente spaziale americano, la nostra mente ci porta subito alle navicelle, alle sonde di esplorazione spaziale, alle conquiste nella ricerca di altri mondi. Ma la NASA non si occupa solo di questo, bensì le ricerche si allargano in infiniti campi che sono in qualche modo interconnessi con le attività spaziali.

I mezzi ideati per l’esplorazione di altri pianeti, sono anch’essi costituita da infinite parti, frutto di studi e ricerche per renderli adattabili ad altri mondi o a situazioni imprevedibili. Tra le innovazioni ha sicuramente un risalto particolare il Superelastic Tire, ossia il nuovo concetto di pneumatico. L’idea che sta alla base di questa nuova grande innovazione, è lo pneumatico senza aria, non soggetto quindi ai limiti che le normali ruote hanno sulla Terra.

Sono realizzati con leghe a memoria di forma che costituiscono la struttura rigida capace di migliorare enormemente questo oggetto. Gli studi in questa direzione erano già stati avviati parecchi anni fa, quando la NASA sviluppò un nuovo concetto di pneumatico usando per i rover lunari acciaio per molle, che si dimostrò essere un buon compromesso. Questi pneumatici a molla airless, però, quando dovevano sopportare grossi carichi, erano soggetti a deformazioni permanenti. Il salto di qualità avvenne quando lo scienziato dei materiali Santo Padula fece casualmente una visita al laboratorio Simulated Lunar Operations (SLOPE) del Glenn Research Center della NASA. Egli suggerì la sostituzione della struttura in acciaio airless con quella a leghe a memoria di forma nei rinforzi radiali sullo pneumatico. La lega utilizzata, è una particolare combinazione di nichel e titanio stechiometrico che è capace di riorganizzarsi a livello atomico riacquistando la sua forma una volta che il carico viene tolto. Lo pneumatico con questa combinazioni di materiali è in grado di deformarsi fino al 30% in più rispetto ai precedenti, senza modifiche o danni permanenti sulla sua superficie.

Un tipo di soluzione del genere porta con se evidenti vantaggi. Lo pneumatico non deve essere gonfiato e conseguentemente non può esplodere, non serve un telaio interno di rinforzo il che si traduce in una riduzione del peso. In questo modo i rover possono essere regolati con carichi differenti, adattati a più tipi di terreno e resistere a gravità diverse.

Il sistema Superelastic Tire è stato evidentemente studiato per le missioni spaziali e per i rover che devono affrontare gli ambienti sconosciuti di Marte, ma il loro uso anche in ambito civile pare possa essere possibile. Il problema maggiore sarebbero la velocità ed i costi, ma per veicoli che viaggiano solo a bassa velocità o su terreni asfaltati, i vantaggi potrebbero essere diversi.